giovedì, Settembre 19

Perché la variante Delta fa ancora paura

Basta un dato per capire come sia fondata la preoccupazione per gli effetti della variante Delta ormai largamente prevalente nel nostro paese, (come nel resto d’Europa): nella prima settimana d’agosto si erano totalizzati 168 morti per Covid, negli ultimi sette giorni siamo passati a 376. In un mese questo dato inquietante è più che raddoppiato. E gran parte delle previsioni indicano che questa tendenza non si fermerà qui e che potremo arrivare a sfiorare anche i 200 decessi al giorno.

Secondo l’ECDC, il centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie la settimana 34 (quella che si è conclusa domenica 29 agosto) è stata caratterizzata nell’Unione Europea da un tasso di notifica di casi di COVID-19 elevato e stabile e da un lento ma costante aumento del tasso di mortalità. Si prevede che continueranno a crescere sia i ricoveri in area medica che quelli in terapia intensiva e si conferma il dato che sono i giovani sotto i 24 anni, la fascia d’età più colpita. Naturalmente l’ECDC avverte che nelle prossime settimane si potranno avere scostamenti anche significativi di questo trend, da paese a paese.

La media mobile degli ultimi sette giorni relativa ai decessi dei cinque più importanti paesi europei sancisce il seguente tasso di mortalità per ogni milione di abitanti: Spagna 2,39 Francia 1,71 Regno Unito 1,56 Italia 0,89 Germania, la più virtuosa 0,29.

fonte OurWorldData

Questo significa, sulla base delle rispettive popolazioni: circa 177 morti al giorno per la Spagna, 115 per la Francia, 105 per il Regno Unito, 54 per l’Italia e soltanto 24 per la Germania. La crescita delle ospedalizzazioni sia pure ancora lontana dai picchi delle altre ondate è un altro fattore che testimonia la grande trasmissibilità della variante Delta e anche la sua alta carica virale. Secondo  il virologo Giorgio Palù, presidente dell’Aifa e componente del Comitato tecnico scientifico, l’ex variante indiana ribattezzata Delta, ha una carica virale nelle prime vie respiratorie da 100 a 1000 volte superiore rispetto a quella del ceppo originario e anche il tempo di incubazione che all’inizio della pandemia era di 4-5 giorni, adesso è di 2 giorni spesso in fase assolutamente asintomatica.

Anche il suo R con zero, che misura per così dire la contagiosità di questo ceppo virale è di 5 contro il 2,5 del ceppo originario. Questo significa che un infetto può contagiare mediamente fino a cinque persone diverse. Eppure la campagna vaccinale nel nostro paese ha raggiunto traguardi significativi e secondo il generale Figluolo, commissario straordinario di governo per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19, entro la fine di questo mese si dovrebbe raggiungere l’80% delle persone vaccinabili (al momento quelle di età superiore ai 12 anni) con almeno una dose.

 

Ma allora da cosa dipende questa pericolosa recrudescenza della mortalità? I fattori sono molteplici. Prima di tutto rimane uno zoccolo duro attualmente di circa il 28% delle persone vaccinabili che non hanno ricevuto neppure una dose di vaccino. In larga parte si tratta di no-vax o di individui che credono erroneamente di essere protetti per il solo fatto che gli “altri” si sono vaccinati. Ci sono poi quote minori di persone che non possono vaccinarsi per la presenza di specifiche patologie e altri che a dispetto dell’evidenza scientifica e della realtà ritengono che il COVID19 sia un invenzione di BigPharma e dei governi o che in ogni caso si tratti soltanto di una semplice influenza.

Inoltre alcuni studi confermano che gli attuali vaccini, concepiti prima dell’insorgere di questa (come di molte altre) variante con una singola dose offrano una copertura dalla malattia grave molto più bassa. E’ un dato di fatto che la maggioranza dei morti e dei ricoverati in terapia intensiva sia costituito da persone non vaccinate, vaccinate con una singola dose ed in misura minore anche con doppia vaccinazione. E non soltanto per quello che in gergo tecnico viene definito “l’effetto paradosso”.

Questo ultimo elemento non deve stupire. Nessuno dei vaccini in circolazione conferisce un’immunità dalla malattia del 100%, inoltre i primi dati indicano che con il passare dei mesi l’efficacia del vaccino cala e questa diminuzione degli anticorpi immunizzanti mette a rischio soprattutto le persone anziane e quelle fragili. Non è ancora ben chiaro invece se la variante Delta, oltre ad essere molto più contagiosa è anche più virulenta degli altri ceppi. Il vaccino rimane, al momento, l’unica arma efficace per ridurre sensibilmente gli esiti di una malattia grave ed anche dei decessi.

Da qui l’esigenza da un lato di intensificare la campagna di vaccinazione per raggiungere e superare l’obiettivo dell’80%, dall’altra di non abbandonare quei comportamenti prudenziali (distanziamento sociale, uso della mascherina, igiene delle mani) che costituiscono ancora oggi un valido presidio contro la possibilità di contagio. Dobbiamo essere onesti ed ammettere che non sarà possibile raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge”, almeno non fino a quando gran parte dei paesi poveri o in via di sviluppo faticheranno a condurre una campagna di vaccinazione di massa adeguata alla criticità pandemica.

Dobbiamo prepararci ad una fase endemica del virus ed è per questo che l’impiego di una terza dose come richiamo per le categorie fragili e gli anziani è già stata adottata da alcuni paesi ed anche l’Italia sta marciando verso questa direzione. Terza dose già da fine settembre per immunodepressi, fragili e anziani ma anche una nuova stagione di vaccino antiinfluenzale per tutti. Sono queste le indicazioni che il Cts consegnerà al governo per affrontare l’autunno in sicurezza.

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