giovedì, Settembre 19

La NASA scopre perché alcune superfici di asteroidi sono rocciose

La NASA scopre perché alcune superfici di asteroidi sono rocciose. I ricercatori, inizialmente, avevano ipotizzato che la superficie di Bennu fosse composta da sabbia, e quindi formata da sabbia fine e ciottoli, materiali ottimali da poter campionare. Le immagini raccolte dal telescopio presente sulla Terra, suggerivano la presenza di ampie strisce di materiale a grana fine. Questo materiale, la regolite fine, possedeva delle dimensioni di pochi centimetri.

La missione, nel momento in cui OSIRIS-REX della NASA è giunta su Bennu alla fine del 2018, ha trovato una superficie ricoperta di massi. Gli scienziati sono rimasti molto sorpresi della misteriosa mancanza di regolite fine, ma non solo. Infatti, un’altra scoperta ancora più sorprendete è avvenuta nel momento in cui sono state osservate le prove di processi potenzialmente in grado di frantumare massi in regolite fine.

NASA: la nuova scoperta

Saverio Cambioni, ha eseguito la ricerca presso il Laboratorio Lunare e Planetario dell’università. Il ricercatore, insieme ai suoi colleghi, sono riusciti a scoprire che la superficie di Bennu, formata da rocce altamente porose, sono le responsabili della sorprendente mancanza di regolite fine sull’asteroide.

La nuova ricerca, che è stata pubblicata su Nature e guidata da Saverio Cambioni, dell’Università dell’Arizona, si è avvalsa dei dati di machine learning e della temperatura superficiale per riuscire a risolvere il mistero. 

Dante Lauretta, coautore dello studio e professore di scienze planetarie presso il Regents l’Università dell’Arizona, ha dichiarato che: “Il ‘REx’ in OSIRIS-REx sta per Regolith Explorer, quindi la mappatura e la caratterizzazione della superficie dell’asteroide erano i suoi principali obiettivi”.

Dante Lauretta, continua spiegando che: “Il veicolo spaziale ha raccolto dati ad altissima risoluzione sull’intera superficie di Bennu, che in alcuni punti ha raggiunto un dettaglio di 3 millimetri per pixel. Al di là dell’interesse scientifico, è diventata una sfida per la missione stessa, perché il veicolo spaziale è stato progettato per raccogliere tale materiale”.

NASA: l’asteroide Bennu

Saverio Cambioni, ha spiegato che: “Quando sono arrivate le prime immagini di Bennu, abbiamo notato alcune aree in cui la risoluzione non era abbastanza alta, per poter vedere se c’erano piccole rocce o regolite fine. Abbiamo iniziato così ad utilizzare l’apprendimento automatico, per distinguere la regolite fine dalle rocce attraverso i dati dell’emissione termica a infrarossi”.

L’emissione termica della regolite fine è differente da quella delle rocce più grandi. Questo perché la dimensione delle sue particelle controlla la prima, mentre la seconda è determinata dalla porosità della roccia.

Il team ha inizialmente ricreato diverse tipologie di emissioni termiche, tutte associate alla regolite fine. Questa è stata mescolata in diverse proporzioni con rocce di varia porosità. Successivamente, hanno utilizzato delle tecniche di apprendimento automatico avvalendosi di un computer. La ricerca ha preso in esame 122 aree sulla superficie di Bennu, osservate sia durante il giorno che di notte.

Saverio Cambioni, ha affermato che: “Solamente attraverso l’apprendimento automatico è possibile esplorare, in modo efficiente, una quantità di dati così grande”. Saverio Cambioni, insieme al suo team, ha scoperto qualcosa di sorprendente quando l’analisi dei dati è stata completata. La regolite fine non è stata distribuita casualmente su Bennu. Infatti, era presente in pochissime aree in cui le rocce non risultavano essere porose e sistematicamente più in basso dove le rocce presentavano una porosità più elevata, condizione presente sulla maggior parte della superficie.  

NASA: la superficie di Bennu

La superficie di Bennu

Il team di ricerca ha quindi concluso che dalle rocce altamente porose di Bennu viene prodotta pochissima regolite fine. Questo perché vengono compresse anziché frammentate dagli impatti di meteoroidi. I vuoti all’interno delle rocce, come una spugna, attutiscono il colpo dei meteoroidi in arrivo. 

I risultati ottenuti sono perfettamente in accordo con gli esperimenti di laboratorio effettuati da altri gruppi di ricerca. Chrysa Avdellidou, coautrice dello studio e ricercatrice post-dottorato presso il Centro nazionale francese per la scienza Ricerca (CNRS), ha spiegato che: “Fondamentalmente, gran parte dell’energia dell’impatto va a schiacciare i pori limitando la frammentazione delle rocce e la produzione di nuova regolite fine”.

Saverio Cambioni, insieme ai suoi colleghi, ha inoltre dimostrato che il cracking, causato dal riscaldamento e dal raffreddamento delle rocce di Bennu mentre l’asteroide ruota durante il giorno e la notte, procede più lentamente nelle rocce porose rispetto a quelle più dense, diminuendo così ulteriormente la produzione di regolite fine.

Jason Dworkin, scienziato del progetto OSIRIS-REx presso il Goddard Space Flight Center della NASA, ha spiegato che: “Quando OSIRIS-REx consegnerà il suo campione di Bennu sulla Terra, a settembre del 2023, gli scienziati potranno studiare i campioni in dettaglio”.

Ci sono altre missioni che sostengono la scoperta effettuata da Saverio Cambioni e il suo team. Tra queste ad esempio c’è la missione Hayabusa2 della Japan Aerospace and Exploration Agency (JAXA) su Ryugu, un asteroide carbonioso come Bennu, che ha scoperto che l’oggetto non possiede regolite fine e ha rocce ad alta porosità. Inoltre, al contrario, la missione Hayabusa di JAXA nel 2005, ha rivelato un’abbondante regolite fine sulla superficie dell’asteroide Itokawa, un oggetto di tipo S, che possiede rocce di composizione diversa rispetto a Bennu e Ryugu.

Conclusioni

Marco Delbo, coautore dello studio e direttore della ricerca con il CNRS, ha spiegato che: “Per decenni, gli astronomi hanno contestato che piccoli asteroidi vicini alla Terra potessero avere superfici di roccia nuda. La prova più indiscutibile che questi piccoli asteroidi potrebbero possedere la regolite fine è emersa quando la navicella spaziale ha visitato gli asteroidi di tipo S Eros e Itokawa negli anni 2000 e ha trovato questo materiale sulle loro superfici”.

Il team di ricerca si aspetta che ampie strisce di regolite fine, dovrebbero essere piuttosto insolite sugli asteroidi carboniosi, il più comune di tutti i tipi di asteroidi osservati. Questa tipologia dovrebbe essere caratterizzata, secondo il team, da rocce ad alta porosità, esattamente come osservato su Bennu. 

Viceversa, il team prevede che i terreni ricchi di regolite fine siano comuni sugli asteroidi di tipo S, la seconda tipologia di oggetti più numerosa osservata nel sistema solare. Questi dovrebbero essere caratterizzati da rocce più dense e meno porose rispetto agli asteroidi carboniosi.

Saverio Cambioni, ha spiegato che: “Questo è un pezzo molto importante nel puzzle di ciò che controlla la diversità delle superfici degli asteroidi. Si pensa che gli asteroidi siano delle rocce primordiali del primo sistema solare, di conseguenza, comprendere l’evoluzione che hanno subito nel tempo è fondamentale per capire come si è formato e si è evoluto il sistema solare”.

Saverio Cambioni, conclude affermando che: “I team di ricerca, ora che conosciamo questa differenza fondamentale tra asteroidi carboniosi e di tipo S, si possono preparare in maniera appropriata per le missioni di raccolta dei campioni a seconda della natura dell’asteroide prescelto”.

FONTE:

https://www.nasa.gov/feature/goddard/2021/nasa-mission-helps-solve-a-mystery-why-are-some-asteroid-surfaces-rocky

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