domenica, Novembre 10

Il conto economico della seconda guerra mondiale

Tutte le guerre divorano le risorse degli stati belligeranti e per questo che in epoca moderna si tende a parlare di “economie di guerra” per descrivere la riconversione dell’apparato produttivo in funzione delle esigenze belliche.

Nella seconda guerra mondiale, ad esempio, la Gran Bretagna ha dato fondo a tutte le risorse di un impero sterminato per sostenere la guerra contro il Terzo Reich, verso la fine del conflitto destinava più della metà del PNL (prodotto nazionale lordo) alle spese di guerra. La Germania invece, soprattutto dal 1942 in poi, ha combattuto saccheggiando le risorse dei paesi occupati, come fece Napoleone nel 1805 ma con un’efficienza incommensurabilmente superiore.

Norvegia, Olanda, Belgio, Boemia-Moravia e Francia sono state costrette a dare un contributo essenziale allo sforzo bellico nazista. Miniere, fabbriche, ferrovie tutto era posto al servizio dell’occupante germanico. Lo stesso accadde per le popolazioni di questi stati soggetti al dominio tedesco, inizialmente nei loro paesi ed in seguito nella stessa Germania. Nel settembre 1944 nel Terzo Reich c’erano 7.847.000 stranieri, quasi tutti deportati, che costituivano il 21% della forza lavoro della Germania.

Lo sfruttamento dei paesi occupati fu così efficiente e razionale che la popolazione tedesca soltanto dal 1944 iniziò a risentire della scarsità di beni, anche di prima necessità, tipica dello stato di guerra. Le economie dei paesi coinvolti nel conflitto però non furono devastate soltanto dallo sfruttamento intensivo delle risorse per sostenere le spese di guerra ma anche dalle distruzioni provocate dal conflitto bellico.

Le città da sempre nodi fondamentali dello sviluppo economico furono in gran parte soggette a gravi devastazioni ed alcune completamente rase al suolo. Nel primo anno di guerra i tedeschi distrussero Rotterdam e letteralmente rasero al suolo la città britannica di Coventry. Per avere un’idea di quello che accadde nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1940 il bombardamento costò la vita a 1.236 persone oltre a migliaia di feriti dei quali molti gravi.

I danni materiali risultarono notevoli e commisurati all’entità del bombardamento: 4.330 abitazioni distrutte, più del 75% delle industrie (essenzialmente automeccaniche ed aeronautiche) gravemente danneggiate, distrutti due ospedali, tre chiese, rifugi antiaerei, stazioni ferroviarie, di polizia, uffici postali, cinema e teatri. L’intera rete dei trasporti tramviari e stradali risultò completamente distrutta.

Ulteriori gravi disagi derivarono alla popolazione per la distruzione delle centrali elettriche, della rete di distribuzione del gas e dell’acqua che creò la necessità di dover bollire le scarse riserve d’acqua per evitare il dilagare di infezioni. Per questo fu coniato il termine “coventrizzare” per definire una devastazione di così ampie proporzioni.

I bombardamenti più distruttivi furono, però, compiuti dagli Alleati e dall’avanzata dell’Armata Rossa nel 1944 e nel 1945. Le città costiere francesi Le Havre e Caen furono completamente sventrate dall’aviazione americana. Amburgo, Colonia, Dusseldorf e Dresda, insieme a molti altri centri minori furono rase al suolo dagli aerei inglesi ed americani.

Ad est in Bielorussia, la città di Minsk veniva distrutta dai sovietici per l’80% ed analoga sorte toccherà a Kiev e Varsavia. Quando la guerra si concluse nel maggio del 1945, Berlino, la capitale del Reich “millenario” colpita da 40.000 tonnellata di bombe era ridotta ad un cumulo di macerie. Il 75% degli edifici non era più abitabile.

In tutta l’Europa occidentale il sistema delle comunicazioni e dei trasporti era gravemente danneggiato. In Francia dove prima della guerra c’erano 12.000 locomotive attive in servizio, dopo il conflitto ne erano rimaste al massimo 2.000. Ponti, strade e linee ferroviarie erano in larga misura distrutte o danneggiate.

Nell’Est europa la devastazione fu enormemente superiore, nel corso del conflitto in Unione Sovietica, furono distrutti 70.000 villaggi, 32.000 fabbriche e 40.000 linee ferroviarie. In Grecia due terzi della flotta mercantile, asset privilegiato dell’economia fu affondata. La Yugoslavia perse il 25% delle vigne, il 50% del bestiame, il 60% delle strade e il 75% degli aratri e dei ponti ferroviari. In Polonia tre quarti delle linee ferroviarie erano fuori uso e una fattoria su sei non era in grado di produrre niente.

Questo un sommario ed assolutamente incompleto quadro del crollo delle economie europee che riguardò sia pure in maniera diversa paesi vincitori, Germania e paesi occupati. Ci vorranno anni perché la ricostruzione sia completata anche grazie, nei paesi occidentali, ai sostanziosi aiuti americani distribuiti attraverso il Piano Marshall.

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