giovedì, Settembre 19

Il paradosso dei cervelli di Boltzmann

In un precedente articolo ci siamo addentrati in quel territorio ambiguo che si colloca tra la scienza e la metafisica parlando del multiverso. Oggi affronteremo un’altra di queste teorie altamente speculative che potrebbero essere vere quanto false e che come nel caso del multiverso non sono verificabili sperimentalmente, almeno per moltissimi anni a venire.

La più estrema di queste teorie è quella che i fisici chiamano i “cervelli di Boltzmann”. Ludwig Eduard Boltzmann (Vienna, 20 febbraio 1844 – Duino, 5 settembre 1906) è stato uno dei più grandi fisici teorici di tutti i tempi. La sua fama è dovuta alle ricerche in termodinamica e meccanica statistica, ad esempio, l’equazione fondamentale della teoria cinetica dei gas e il secondo principio della termodinamica.

Per capire cosa sono i cervelli di Boltzmann e quanto possano essere credibili occorre partire dai concetti di entropia dell’universo e della direzionalità del tempo. Grazie al fisico austriaco si comprese, ad esempio, come un gas è formato da minuscole particelle che sono in costante movimento casuale. Insufflato il gas in un contenitore, le particelle muovendosi urtano tra di loro e con le pareti del contenitore stesso e si diffondono in modo omogeneo. Boltzmann dimostrò come fosse statisticamente altamente improbabile la possibilità che le particelle che costituiscono il gas si possano concentrare tutte in una zona definita del contenitore.

Un po’ come è impossibile che un bicchiere che cade frantumandosi possa ricombinarsi e tornare integro attraverso una specie di reward dell’azione. Dal punto di vista della fisica microscopica non ci sarebbe niente che escluda questi processi biderezionali oppure disomogenei, come nel caso del gas in un contenitore. Ma questi processi, pur non violando nessuna legge della fisica, sono talmente improbabili che non li vedremo mai.

Tutti questi processi quindi avvengono nella stessa direzione, quella che va dal passato al futuro. La seconda legge della termodinamica recita infatti, che in un sistema chiuso, l’entropia o resta la stessa o cresce ma non diminuisce mai. Il gas diffuso in un recipiente ha un entropia più alta di un gas concentrato in un angolo dello stesso, i frammenti di un bicchiere rotto hanno un’entropia più alta di un bicchiere integro.

Boltzmann ha dimostrato che la seconda legge della termodinamica ha una spiegazione di ordine probabilistico. Quando un sistema raggiunge la massima entropia va in equilibrio, in linea di massima non succede più niente. In teoria in un lontanissimo futuro il nostro universo potrebbe raggiungere il suo massimo livello di entropia. Questa condizione viene comunemente chiamata “morte termica dell’universo”.

Le teorie probabilistiche di Boltzamann funzionano molto bene, però presentano un problema. Il fatto che osserviamo la crescita dell’entropia nell’universo significa che nel passato questa era molto più bassa e che sta ancora crescendo. Così testualmente Boltzmann provava a spiegare questa peculiare condizione.

La seconda legge può essere spiegata attraverso l’ipotesi (ovviamente indimostrabile) che l’universo – o almeno quella gran parte che ci circonda – abbia avuto inizio da uno stato molto improbabile e sia ancora oggi in uno stato improbabile.” Tutto questo il fisico austriaco lo scriveva molto prima che si teorizzasse che l’universo fosse nato da un Big Bang.

Per cercare di giustificare questo assunto Boltzmann argomentava il seguente ragionamento. Ammettiamo che tutto quello che esiste nell’universo c’è da un tempo infinitamente lungo e che in un certo momento avesse già raggiunto la morte termica. Di fronte ad un tempo eterno è possibile da un punto di vista probabilistico il ritorno ad un’entropia minore. Quindi Boltzmann ipotizzò che lo stato iniziale a bassa entropia dell’universo potesse essere il caso assolutamente fortuito di una combinazione del genere.

E quella che stiamo osservando adesso non è altro che la fase nella quale l’entropia non può far altro che crescere. In altri termini tutto l’universo sarebbe il risultato di una fluttuazione casuale da uno stato precedente in cui si era già raggiunta la massima entropia. Per Boltzmann questa particolare condizione potrebbe avvenire anche in una specifica regione dell’universo e solo in quella regione si sarebbero potuti verificare fenomeni fisici complessi, tra i quali la presenza di osservatori intelligenti.

Si tratta di una delle prime applicazioni del principio antropico nella scienza moderna, le regioni che presentano specie senzienti non possono che avere quelle caratteristiche in quanto necessarie alla stessa presenza degli osservatori intelligenti. Questa teoria però è stata oggetto di numerose osservazioni critiche da parte di altri fisici. In particolare se le possibilità di assistere ai frammenti di un bicchiere rotto che si ricompongono spontaneamente sono già bassissime, è inconcepibilmente più bassa la possibilità, anche di fronte ad un tempo lunghissimo che da una fluttuazione casuale scaturisca fuori un universo ordinato, ovvero a bassa entropia.

Se l’universo di Boltzmann fosse reale dovremmo vedere intorno a noi una regione ordinata, relativamente piccola, l’unica possibile per giustificare la nostra presenza di osservatori intelligenti e tutto intorno un’universo sterminato e disordinato, prossimo alla condizione di morte termica. Ovviamente non è quello che notiamo osservando il cosmo.

In effetti se si volesse estremizzare il ragionamento antropico dell’universo disegnato da Boltzmann la cosa più probabile con la presenza di osservatori, ovvero quella che richiederebbe la minima variazione di entropia, sarebbe che la fluttuazione casuale non creasse una regione piccola o grande di universo ma soltanto degli osservatori intelligenti. Da un sistema in equilibrio una fluttuazione casuale creerebbe quindi soltanto dei “cervelli“, circondati da un universo disordinato e morto.

Questi osservatori intelligenti sono stati chiamati “cervelli di Boltzmann“. Dal punto di vista strettamente statistico la possibilità di creare questi cervelli circondati da un universo vuoto da una fluttuazione casuale sarebbe infinitamente più grande che far scaturire dalla stessa un intero universo costituito da galassie, stelle, pianeti e organismi viventi.

Naturalmente se rimaniamo all’interno di un piano strettamente speculativo non si può escludere l’esistenza in qualche parte di un universo sterminato e infinitamente vecchio di cervelli di Boltzmann, né se andiamo alle estreme conseguenze di queste speculazioni, che noi stessi in realtà siamo dei cervelli di Boltzmann con ricordi e percezioni illusori che ci fanno immaginare un universo “inesistente” come quello che crediamo di osservare.

In realtà, ancora una volta, per quanto affascinanti e magari sorrette da calcoli statistici e probabilistici le teorie che non possono trovare conferme attraverso evidenze empiriche inconfutabili vanno prese con le molle e devono rimanere confinati all’interno di una sorta di “esercizio di stile”.

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