giovedì, Settembre 19

I libri nel Medioevo

C’è un prima e un dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili nella storia del libro. In Europa la stampa a caratteri mobili in metallo  fu inventata dall’orafo tedesco Johannes Gutenberg a Magonza. Il primo libro stampato da Gutenberg con la nuova tecnica fu la «Bibbia a 42 linee» (1453-55); il testo utilizzato fu quello della Vulgata, la bibbia latina tradotta dal greco da san Gerolamo nel V secolo. In tre anni ne furono prodotte 180 copie, 48 delle quali sono arrivate fino a noi. Quaranta copie furono stampate su pergamena  e 140 su carta di canapa importata dall’Italia.

I caratteri mobili (incisi nella porcellana) in realtà furono inventati per primi in Cina nel 1041, circa quattro secoli prima di Gutenberg, anche se non si prestavano tuttavia per la stampa in larghe quantità a causa della loro fragilità. Questo sistema fu migliorata tra il 1290 e il 1333 grazie al contributo di un funzionario imperiale, Wang Zhen.

Prima di allora i libri venivano scritti e duplicati a mano e richiedevano tempi lunghissimi e costi molto sostenuti. Per gran parte del Medioevo il materiale utilizzato per la produzione dei libri fu la pergamena. Questo materiale si ricavava dalla pelle di pecora che doveva essere trattata con un procedimento molto costoso prima di poter essere utilizzabile. Per avere un’idea di quali fossero gli oneri di produzione di un libro, una Bibbia, senz’altro il libro più diffuso nel Medioevo, necessitava di pergamena ricavata da un intero gregge di pecore e della comunità di un intero monastero per la sua riproduzione.

I libri erano infatti copiati dai monaci, gli unici che avevano le competenze per poterlo fare e che potevano dedicarvisi in quanto sostenuti dal microcosmo produttivo che girava intorno ad un’abbazia. Non esisteva una produzione in serie di opere. Uno dei tentativi più noti, in questo senso, fu quello operato da Carlo Magno per rifornire di Bibbie le chiese del suo impero. Il principale libro liturgico era così caro che solo poche chiese potevano permetterselo, le altre si facevano bastare il “messale” che conteneva i testi necessari alla celebrazione della messa.

Carlo Magno allora lanciò una specie di “gara di appalto” incaricando due studiosi della sua corte, Teodulfo e Alcuino, di studiare il testo della Bibbia, confrontando vari manoscritti, per arrivare alla versione corretta. La gara fu vinta da Alcuino che era in rapporti migliori con l’imperatore. Carlo Magno lo nominò abate del più grande monastero di Francia, San Martino di Tours; dove vivevano qualcosa come trecento monaci, che vennero messi tutti al lavoro nello scriptorium, per copiare a mano la Bibbia. Inoltre al monastero furono conferiti pascoli e greggi di pecore aggiuntivi per poter produrre gli ingenti quantitativi di pergamena necessari.

L’obiettivo era ambizioso, fornire a 800 chiese dell’impero almeno una Bibbia, senza difformità e di buona qualità. Si trattava però nonostante questo tentativo di “serialità produttiva” di un obiettivo proibitivo. In un anno i monaci riuscivano a produrre due soli esemplari delle Sacre Scritture. Questo esempio spiega perché di fatto prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili non esisteva un mercato dei libri.

I libri servivano per conservare la conoscenza, non per diffonderla. D’altronde se si escludono monaci, vescovi e qualche prete, il resto della scarsissima produzione era riservata a qualche facoltoso studioso che se era interessato a un testo doveva prima cercare di individuare in quale biblioteca ecclesiastica era conservato, poi pagare un copista affinché lo duplicasse e riuscire così ad ottenere l’agognata copia dopo molti mesi, perfino un anno dall’ordinazione. Il dotto passava così quasi un’intera vita a studiare l’opera così faticosamente ottenuta.

È evidente quindi che la cultura faticasse moltissimo a circolare ed era estremamente raro per un laico possedere più di qualche libro, anche se di agiate condizioni. Un primo miglioramento che porterà ad un parziale abbattimento dei costi di produzione, avverrà nel XII secolo, con la diffusione della carta che iniziò a sostituire rapidamente la più costosa pergamena.

Con la diffusione della carta, soprattutto nelle città universitarie come Parigi, Bologna, Oxford si fanno i primi tentativi di produzione seriale dei libri. Anziché affidare un libro a un unico copista e aspettare che lo copiasse tutto, mettendoci dei mesi, gli studenti potevano accedere ai laboratori di copiatura dove un manoscritto veniva suddiviso in fascicoli, e ogni fascicolo era copiato da uno scrivano diverso, sicché il lavoro si concludeva in pochi giorni. Questa tecnica porterà ad un ulteriore riduzione del costo del libro, prima della drastica riduzione che seguirà l’introduzione della stampa a caratteri mobili.

Un ulteriore causa impediva comunque una diffusione generalizzata dei libri. La stragrande maggioranza della popolazione nell’età di mezzo non sapeva leggere e tanto meno scrivere. In una società preindustriale c’era un limite alla possibilità di mantenere persone che si dedicassero ad altro che non a produrre quello che era necessario alla sopravvivenza delle comunità e certamente gli intellettuali erano tra coloro ritenuti meno “utili” da mantenere.

L’analfabetismo quindi era la condizione generale di gran parte della popolazione con qualche differenza tra le città e la campagna. E se nelle città si poteva stimare che un quarto della popolazione maschile sapesse almeno leggere, nelle campagne questa percentuale già bassa, crollava verticalmente. Per sopravvivere i contadini dovevano far lavorare anche i figli in tenera età e quindi la scuola era un lusso che non si potevano permettere.

C’erano poi le eccezioni, per l’appunto nelle città, il mercante e cronista Giovanni Villani, vissuto nella Firenze del Trecento, racconta che ogni giorno andavano alle corrispondenti scuole elementari dell’epoca, tra gli 8.000 e i 10.000 bambini e bambine. Quasi l’intera popolazione di quella classe d’età. Questo fenomeno si spiega perché Firenze era una città industriale e commerciale, insegnare ai bambini a leggere, scrivere e far di conto era un investimento economico, prima ancora che sociale.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Dietro le quinte della storia di Angela-Barbero

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