giovedì, Settembre 19

La politica estera di Stalin all’indomani della fine della guerra

Con la fine del secondo conflitto mondiale, la strana alleanza tra le potenze occidentali capitaliste e lo stato comunista governato dal dittatore georgiano non riuscì a passare indenne dalla cooperazione militare a quella geopolitica.

Ancora una volta furono gli americani ad illudersi per qualche tempo di poter collaborare proficuamente con l’Unione Sovietica anche in tempo di pace, mentre Stalin convinto di un prossimo collasso economico dell’Occidente, sulla scorta di quanto avvenuto tra le due guerre mondiali, arrivò persino ad immaginare una possibile competizione tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in quanto rivali imperialisti nel controllo di un mercato mondiale diventato troppo piccolo dopo sei anni di guerra.

A questa visione che si rivelerà errata Stalin pensava di poter contribuire generando occasioni di divisione tra gli ex alleati occidentali in Medio Oriente e persino all’interno della Germania occupata. Questa analisi porterà al famoso discorso pronunciato da Stalin il 9 febbraio 1946 al teatro Bol’soj, in cui il dittatore annunciò che l’URSS sarebbe tornata a porre l’accento sull’industrializzazione, sulla preparazione alla guerra e sull’inevitabilità del conflitto tra capitalismo e comunismo, proclamando esplicitamente ciò che era già ovvio: da quel momento in poi avrebbe collaborato con l’Occidente soltanto quando lo avesse ritenuto opportuno.

Era un ritorno all’antico, si trattava delle posizioni espresse dai bolscevichi dal 1921 e poi dal 1927 fino all’epoca dei fronti popolari. Come tutti i dittatori c’era la necessità, per rimanere saldamente in sella, di ricorrere continuamente a minacce interne o esterne. Quali erano gli obiettivi a medio termine di Stalin?

Al di la di un progressivo raffreddamento delle relazioni con gli ex alleati occidentali, secondo molti storici, la politica estera di Stalin nei primi anni del dopoguerra, si modellava sulla base di quanto avveniva concretamente in Europa, si trattava in altre parole di “risposte” a quanto accaduto, piuttosto che piani di medio e lungo periodo da attuare. Lo stesso Molotov scriveva qualche tempo dopo: «Secondo la nostra ideologia, intraprendiamo operazioni offensive quando risulta possibile; altrimenti, aspettiamo». La parola d’ordine insomma era quella di non compiere azzardi rischiosi.

Quello che era certo è, che al netto della retorica, l’URSS non stava preparando una nuova guerra. Tra il giugno 1945 e la fine del 1947 l’Armata rossa passò da 11.365.000 a 2.874.000 uomini (riduzione in percentuale paragonabile a quella delle forze statunitensi e inglesi). Le idee erano ben chiare invece sul controllo politico e militare della parte orientale dell’Europa occupata dall’Armata Rossa. Qui Stalin ignorava le deboli proteste occidentali rispetto a come si andava organizzando la vita politica e democratica di quei paesi.

E quando ne arrivava qualcuna un po’ meno flebile del solito la risposta era lapidaria, come ad esempio in questa nota scritta da Molotov, il ministro degli esteri sovietico, nel 1946 in relazione ad una presunta interferenza americana sul futuro della Polonia: «Come siano organizzati i governi in Belgio, Francia, Grecia e altrove, noi non lo sappiamo. Non siamo stati interpellati, anche se non abbiamo detto che ci piaccia l’uno o l’altro di questi governi. Non abbiamo interferito, perché questa è la zona di controllo militare angloamericana».

In verità esisteva una questione centrale nella politica estera sovietica del dopoguerra e tale questione si chiamava Germania. Le sorti del paese sconfitto, in gran parte per merito dell’Armata Rossa, erano per Stalin fondamentali anche in tempo di pace. Quando Stalin, Truman e Churchill s’incontrarono a Potsdam, con Attlee che sostituì Churchill dopo la vittoria laburista, fu possibile un accordo sull’espulsione dei tedeschi dall’Europa orientale, sulla suddivisione amministrativa della Germania a scopo di occupazione e sulla sua «democratizzazione», «denazificazione» e «decartellizzazione».

Questo accordo però non eviterà la nascita di spinosi contenziosi tra russi ed ex alleati occidentali. I sovietici si appropriarono di beni, servizi e risorse finanziarie della parte sotto la loro occupazione. I vincitori non trovarono l’accordo sulle future frontiere della Germania e persino l’obiettivo della democratizzazione dell’ex Terzo Reich fu oggetto di polemiche e dispute.

Si avviarono così una serie di colloqui, a livello di Ministri degli Esteri di USA, Gran Bretagna e URSS, a cui si aggiunse successivamente la Francia che iniziarono due mesi dopo Postdam e si conclusero nel dicembre del 1947 a Londra che sancì in modo inequivocabile il profondo divario tra le posizioni sovietiche e quelle dei partner occidentali. Stalin, fin dai primi mesi del dopoguerra aveva installato nella parte orientale della Germania un governo filocomunista, violando gli accordi di Postdam, nonostante lo scarsissimo appoggio popolare dei tedeschi sfibrati da una devastante sconfitta e che vedevano nei russi un esercito occupante più detestato di quello degli alleati occidentali.

Non che Stalin avesse molte alternative: non ebbe mai prospettive concrete di controllare il paese in modo democratico, o anche soltanto la zona sovietica, se non con la forza. Nelle elezioni per la città di Berlino, del 20 ottobre 1946, i candidati comunisti si piazzarono molto indietro rispetto sia ai socialdemocratici sia ai cristiano-democratici. Di conseguenza, la politica sovietica s’irrigidì considerevolmente.

Ormai era chiaro che l’unica cosa che teneva ancora insieme gli ex alleati era la responsabilità verso il nemico sconfitto: la Germania e le sue prospettive nel nuovo scenario politico europeo. La rottura definitiva avvenne nella Conferenza di Mosca del 1947. Come riconobbe Murphy, consigliere politico del governo militare statunitense in Germania, «fu la Conferenza di Mosca del 1947 … a fare scendere veramente la “cortina di ferro”».

Le accelerazioni impresse da Stati Uniti e Gran Bretagna , che ormai non credevano più nella possibilità di conciliare le loro posizioni con quelle sovietiche, nella parte occidentale della Germania indusse Stalin a puntare decisamente verso la sovietizzazione della Germania e dell’Europa orientale occupate dall’Armata Rossa. La guerra fredda era iniziata.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Postwar

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