giovedì, Settembre 19

L’uomo e il veleno

La storia tra l’essere umano e il veleno è quella di un rapporto ultra millenario che affonda le radici nella più profonda antichità. Le sostanze velenose da sempre sono state usate per eliminare altri esseri umani o animali pericolosi o particolarmente astuti da sfuggire alla caccia.

Sul veleno si discetta in ogni parte del pianeta, Chanakya – economista, filosofo, consigliere personale e primo ministro dell’imperatore Chandragupta (che regnò tra il 321 e il 297 a.C. in India) – a colui che voglia conservare il potere suggerisce di utilizzare tre ingredienti: il fascino, le armi e il veleno.

È proprio nella lotta per il potere assoluto che il veleno diventa l’arma più temuta e insidiosa. Mitridate VI, che regnò sul Ponto tra il 111 e il 63 avanti l’era volgare visse tutta la vita sotto l’incubo di morire avvelenato. Il regno del Ponto è una regione dell’Asia Minore, nell’attuale Turchia, deriva il suo nome dai Greci che la colonizzarono  chiamando l’attuale Mar Nero Pontos Euxeinos (“Mare ospitale”), o semplicemente Pontos, da qui il nome della regione e del regno governato da Mitridate.

Il sovrano pontino ogni giorno beveva piccole dosi di veleni per immunizzarsi e sperimentava vari antidoti sui condannati a morte. Questa sua ricerca ossessiva sembra che lo condusse a mettere appunto un antidoto che una volta sconfitto da Pompeo, quest’ultimo portò a Roma con il nome di mithrydatium.

La morte di Mitridate sembra avvalorare un’intera vita spesa a combattere il veleno. Quando il sovrano del Ponto si rese conto che il potere stava sfuggendogli di mano, a causa della politica di Roma e dei dissidi interni, cercò di uccidersi con del veleno, a cui risultò però immune, e subito dopo si diede la morte grazie a un generale dei Galli di nome Bituito, che lo aiutò a trafiggersi con la spada. Questa fu la fine del re del Ponto, che combatté Roma per quasi trent’anni.

Plinio descrive oltre 7000 tipi di veleno mentre lo storico Tito Livio, che visse nell’epoca augustea, parla esplicitamente di nobili uccisi tramite l’uso di veleni. È acclarato che Nerone eliminò alcuni suoi parenti con il cianuro. Tale è il terrore che questa morte invisibile produce che molti sovrani e nobili hanno al loro servizio un “assaggiatore” incaricato di provare per primo il cibo e le bevande del loro padrone.

Curiosamente in Italia viene inventato un mobile “la credenza” dove si disponevano i piatti che l’assaggiatore doveva provare per rassicurare il suo signore dell’assenza di veleni nel proprio pasto. Nella Venezia del Rinascimento tra i veleni più usati vi è il diamante sbriciolato, questa polvere letale, viene propinata alla malcapitata e ignara vittima attraverso una bevanda o del cibo. La morte è rapida ma molto dolorosa e non lasciava traccia alcuna.

Con l’aumento dell’utilizzo del veleno come arma, che avviene nel Medioevo e nel Rinascimento, aumentano anche gli speziali che ricercano adeguati antidoti. Nelle città dove sono presenti scuole di medicina si riscontrano i risultati migliori. Nell’età di mezzo nuovi composti di arsenico inodore e incolore si aggiungono alla già vasta batteria delle sostanze tossiche. L’Europa però non è l’unico teatro d’azione per gli avvelenamenti.

In Cina, durante la dinastia Ming, la feroce lotta per il potere che coinvolgeva mogli dell’imperatore, concubine, eunuchi all’interno della Città Proibita, spesso veniva regolata attraverso il ricorso al veleno. In Cina la variante veneziana del diamante sbriciolato è rappresentata dalla vibrisse di tigre tagliate finemente e mescolate con una bevanda. Anche qui le emorragie interne che causano al malcapitato non lasciano alcuna speranza di sopravvivenza.

Alcune delle consuetudini che ancor oggi sono compiamo come riti beneauguranti o di buona educazione derivano dalle manovre effettuate per evitare di essere avvelenati, come ad esempio togliersi un guanto prima di dare la mano perché il guanto potrebbe nascondere un pezzetto di tessuto irto di spilli avvelenati oppure brindare facendo tintinnare un bicchiere contro l’altro in modo che una goccia del primo cada nel secondo e viceversa, per mescolare i liquidi prima di berli, assicurandosi in tal modo che la bevanda non sia avvelenata.

Non crediate che la tecnica dell’avvelenamento per uccidere nemici o dissidenti sia una pratica esclusivamente legata all’antichità, transitando per il Medioevo e Rinascimento. Anche negli ultimi anni si è ricorso alla pratica dell’avvelenamento, in queste triste primato si sono distinti i russi. Citiamo soltanto alcuni casi, nel 2000 il leader dell’opposizione Viktor Yushchenko venne ricoverato per avvelenamento da diossina. Nel 2006, a morire per avvelenamento fu un ex agente dei servizi russi dell’Fsb, Alexander Litvinenko, fuggito a Londra nel 2000. In questo caso responsabile della sua morte fu una sostanza radioattiva, il polonio.

Nel 2017, il giornalista russo Vladimir Kara Murza, facente parte del movimento dissidente Open Russia venne ricoverato d’urgenza in terapia intensiva a Mosca. Gli venne diagnosticata un'”intossicazione dovuta a una sostanza sconosciuta“‘. Per arrivare al recente avvelenamento (2020) del blogger russo Alexei Navalny.

Insomma il veleno come arma di lotta politica è tutt’altro che relegato a secoli lontani ma continua ad essere un’inquietante presenza anche della società contemporanea.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

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