domenica, Maggio 19

L’alimentazione nel Medioevo

Procurarsi il cibo era la sfida principale per la grande maggioranza delle persone nell’Età di Mezzo. Tanti, forse troppi i fattori che contribuivano a rendere problematica l’acquisizione delle derrate alimentari indispensabili per assicurare la sopravvivenza del proprio nucleo familiare. Dal prezzo che poteva risultare insostenibile per tante persone che vivevano nei borghi e nelle campagne, alla conservazione degli alimenti, dagli effetti drammatici di carestie, siccità e calamità naturali nella produzione dei raccolti, a guerre e assedi dove gli eserciti invasori si appropriavano con la forza delle derrate alimentari, lasciando spesso alla fame le popolazioni di quei territori.

In particolare il periodo dell’Alto Medioevo con le cosiddette invasioni barbariche, e poi le incursioni saracene, quelle degli Ungari, le guerre fra Comuni e Signorie e per la formazione degli Stati nazionali, costituì una vera calamità sia per le tavole dei poveri e persino per quelle della classi più agiate. Schematizzando si può affermare che fino all’anno Mille l’alimentazione era il problema numero uno delle persone, le cose inizieranno a migliorare progressivamente nei decenni e nei secoli successivi. A titolo di esempio il pane nel Duecento non era più quell’alimento prelibato e raro del X secolo quando anche alcune importanti e tutto sommato ricche comunità monastiche non erano in grado di procurarselo.

Tuttavia anche nell’XI-XII secolo la nutrizione prevalente consisteva di minestroni e passati, la carne era appannaggio dei nobili mentre i contadini, se non cacciavano la selvaggina, dovevano accontentarsi del maiale una volta all’anno, il giorno della macellazione. I vegetali e i latticini erano la base dell’alimentazione media in quel periodo. L’andamento dei raccolti di grano condizionava la produzione e l’accessibilità del pane, elemento primario in quel tempo, confezionato con vari tipi di farina quasi sempre integrale mista a segale o molto meno da quella bianca usata nelle occasioni festive.

Il vino, altro alimento di largo consumo, nelle occasioni speciali veniva consumato con un forte tasso alcolico mentre per i pasti quotidiani si preferiva un vino meno pregiato, spesso allungato con l’acqua. Il maiale era l’alimento proteico centrale, sia per le classi abbienti che, in misura diversa, per i poveri. Come si dice con un luogo comune che però rispecchia la realtà, del maiale non si butta via niente. Vieniva usato come condimento, strutto o lardo o per ricavarne insaccati: lonze, prosciutti, salami, salsicce conservate sotto pepe e spezie, che avevano il pregio di conservarsi più a lungo della carne fresca. Il latte e i suoi derivati come ricotte, caciotte e formaggi rappresentava un altro alimento centrale nell’alimentazione medievale.

La caccia continuava ad essere per nobili e contadini una fonte importante di proteine: cinghiali, lepri, caprioli, pernici, fagiani, starne, cervi, daini, scoiattoli, gru, tordi, passeri, usignoli, astori, girifalchi, oche, galline, galletti, faraone, arricchivano le tavole, sempre che si riuscissero ad aggirare i tanti divieti comunali e signorili che la limitavano. Poco utilizzata la carne di bue e di vitello perché troppo cara da produrre.

Il pescato era un’altra fondamentale risorsa, sia per le popolazioni rivierasche che per quelle residenti a poca distanza da fiumi e laghi. Il divieto di consumare carne in particolari ricorrenze religiose era una spinta ulteriore a procacciarsi il pesce. Lungo i fiumi si pescavano lucci, storione, scardole e coregoni, mentre nel mare vista la pescosità del Mediterraneo c’era solo l’imbarazzo della scelta. Tale era la richiesta di pesce in Quaresima che nei Comuni, per calmierare i prezzi, se ne vietava la vendita 40 giorni prima di Pasqua.

Frutta fresca e secca, legumi ed uova completavano l’alimentazione soprattutto delle tavole più povere. Le spezie, estremamente costose, erano ricercate dalle classi più abbienti per insaporire ma soprattutto per conservare gli alimenti. Per dolcificare gli alimenti raramente si ricorreva allo zucchero ma si utilizzavano fichi secchi, carrube, castagne, mandorle mescolate a latte, grano fresco, noci e nocciole.

In linea generale possiamo distinguere tre diversi tipi di cucina (e quindi di alimentazione) quella contadina, quella dei monasteri e quella dei nobili e dei grandi borghesi. Per i contadini il pasto principale è costituito da focacce e farinate, legumi, verdure coltivate nell’orto e frutti di bosco. L’apporto proteico è assicurato da animali da cortile e qualche capo di cacciagione se il nucleo familiare ha un capofamiglia abile nella caccia. Grazie agli animali da cortile, polli e capre su tutti, poi formaggio, latte e uova non sono un problema per le famiglie contadine. Il vino invece è una bevanda troppo costosa per i contadini, a meno che non vivano nelle zone di produzione di questa bevanda.

Per il clero, in particolare per monaci e frati la dieta alimentare è sana e abbondante, sia pure composta da piatti non troppo ricercati e sofisticati. La tavola dei re e dei nobili offre a sua volta caratteristiche interessanti, non tanto per qualità abbastanza simile a quella del monastero o delle campagne, ma per la quantità. Pane raffinato, vino e cacciagione sono i capisaldi di un’alimentazione abbondante e riccamente proteica. Cervi e cerbiatti, daini e cinghiali sono portati a quarti interi, cotti sulla brace e insaporiti con determinate erbe aromatiche e/o con le spezie. Non si disdegna quando la caccia è particolarmente fortunata la carne dell’orso. Frutta, formaggi, uova e legumi non sono molto diversi da quelli che possiamo trovare sulle tavole di un monastero o della casa di un contadino.

Come ci ricorda frate Salimbene da Parma, nella sua Cronaca, i nobili fanno largo consumo di tartufi e asparagi, insieme ai funghi trifolati. Salimbene che ci ha lasciato una cronaca straordinaria che spazia da argomento ad argomento, è un amante della buona tavola e ricorda volentieri i banchetti dove ha gustato particolari prelibatezze. Il cronista rammenta pure un pasticcio di lasagne farcito di rigaglie, formaggio, uova e latte che, a quanto pare, doveva essere una specialità dell’epoca.

Un breve cenno merita la pasta, introdotta probabilmente dall’estremo oriente come scrive lo stesso Marco Polo nel Milione. I maccheroni lasciano traccia di se in alcune cronache come quella che riporta una ricetta di maccaroni essiccati conditi con lenticchie, ricetta proveniente dalla tribù berbere. Anche Boccaccio nel Decameron rammenta i maccheroni in brodo di cappone.

I dolci sono poco consumati e forse il più diffuso e apprezzato presso aristocratici e conventi e il “bianco mangiare“, ovvero una crema di latte, amido, mandorle e cannella.

Fonti:

Il Medioevo giorno per giorno di L. Gatto

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