giovedì, Settembre 19

11 dicembre 1941: Hitler dichiara guerra agli Stati Uniti

Sono passati cinque giorni dal proditorio attacco giapponese alla base della marina statunitense delle Hawaii, cinque giorni convulsi durante i quali Roosevelt aveva costantemente colto ogni occasione per ribadire che dietro l’attacco giapponese c’era la regia nazista. Il Presidente americano continuava la sua opera di indebolimento dell’opposizione interna anti interventista che vedeva il suo alfiere principale nel movimento “America First” ma a togliere di mezzo l’opposizione politica e sociale ad un intervento militare diretto nel conflitto europeo ci penserà Hitler, che dopo febbrili preparativi giovedi 11 dicembre 1941 dichiarerà formalmente guerra alla più potente nazione industriale del mondo.

Le prime ore di quella fatidica giornata si aprono con la Kriegsmarine che nonostante la dichiarazione formale di guerra sia prevista per le ore 15 ordina lo schieramento di un maggior numero di sottomarini nell’Atlantico per attaccare, ogni volta che se ne presenti l’opportunità, le navi statunitensi. Per ottemperare a questo nuovo scenario si spostaranno alcuni U-boot dal Mediterraneo alle rotte atlantiche, nonostante questo il numero complessivo di sottomarini raggiunse appena le dodici unità, un numero esiguo rispetto all’estensione oceanica da controllare.

Alle tre e quindici minuti del mattino, l’ambasciatore tedesco in Italia riceve una copia del dispaccio contenente la dichiarazione di guerra che sarebbe stata consegnata anche all’incaricato d’affari tedesco a Washington per essere comunicato a Cordell Hull, il Segretario di Stato americano. Lo scopo era quello di informare Roma e di mettere le mani avanti in modo che Mussolini non rubasse la scena ad Hitler durante la riunione straordinaria del Reichstag. Nel frattempo a Berlino, nelle prime ore del mattino la Gestapo continuò a radunare e prendere in custodia i giornalisti americani, confinandoli, dopo una serie di incertezze, in un albergo di Grünau.

Altri trecento cittadini americani residenti in Germania o nella Francia occupata furono arrestati in quelle ore come ritorsione per il trattamento subito da giornalisti e cittadini tedeschi negli Stati Uniti. Alle 11 ora locale, Ribbentrop incontra nel suo studio gli ambasciatori di Italia e Giappone, per la firma ufficiale dell’accordo dell’Asse. Il trattato nei giorni precedenti era stato sottoposto a minuziose revisioni ed ora finalmente veniva sottoscritto dalle tre potenze dell’Asse. I tre firmarono soltanto la versione in tedesco in quanto l’ufficio protocollo non aveva ancora terminato le traduzioni in giapponese e italiano.

Mussolini nel frattempo ci aveva ripensato e non volendo consegnare tutta la scena al dittatore nazista ordinò all’ambasciatore a Berlino Alfieri di riferire a Hitler che il Duce aveva deciso, «nell’interesse della gestione comune della questione», di tenere un breve discorso a piazza Venezia alle 14:45, un quarto d’ora prima dell’inizio del discorso di Hitler. Verso le tredici tutto l’establishment nazista iniziò a radunarsi intorno alla Porta di Brandeburgo in vista della riunione che si sarebbe tenuta nel teatro dell’opera Kroll. La notizia dell’imminente dichiarazione di guerra agli Stati Uniti da parte del Terzo Reich stava già filtrando nel resto del mondo.

Quando mancavano pochi minuti alle quindici l’area attorno alla Porta di Brandeburgo e al Reichstag era gremita ormai di delegati, gerarchi e giornalisti riunitisi per il discorso del Führer. Pochi minuti prima delle quindici, Hitler e Himmler arrivarono al Reichstag dove passarono in rassegna la guardia d’onore; mentre la banda suonava l’Horst-Wessel-Lied, l’inno del partito nazista.

Alle quindici esatte il dittatore nazista entrò nella sala del teatro dell’Opera accolto dall’applauso scrosciante e degli heil di tutti i delegati rigorosamente in piedi. Hitler prese posto in prima fila, seguito dai deputati e da coloro che rispondevano direttamente al Furher. La coreografia nazista comprendeva rappresentanti delle tre forze armate: esercito, marina e aviazione, mentre ai corpi diplomatici era riservata la sezione centrale, la cui prima fila spettava ai principali alleati, Italia e Giappone. Dietro alcuni simpatizzanti come il primo ministro fantoccio norvegese Quisling, il Gran Mufti di Gerusalemme e il leader nazista olandese Mussert. A destra e a sinistra del podio sedevano i governi del Reich e delle regioni, oltre ai segretari di Stato. Ribbentrop, Raeder, Brauchitsch, Keitel, Lammers e Dietrich erano posizionati dietro il leggio.

Lo spettacolo poteva aver inizio. Dopo una breve introduzione del Presidente del Reichstag Herman Göring, prese la parola Adolf Hitler, dietro le sue spalle campeggiava una gigantesca svastica dorata tra gli artigli di una grande aquila. Il dittatore nazista parlò per 90 minuti con un tono inizialmente grave come si addiceva ad un’occasione storica e irripetibile. L’inizio fu scioccante, Hitler attaccò parlando dei costi della campagna di Russia che in quel momento contava 162.314 morti e 571.767 feriti, oltre a 33.334 dispersi tra i soldati della Wehrmacht. Queste cifre impressionanti snocciolate da Hitler produssero un fremito tra gli ascoltatori. Poi Hitler ripercorse le continue provocazioni e aggressioni di Roosevelt nei confronti della Germania, a partire dal 1937 addossando al “guerrafondaio” presidente americano ed alla congiura ebraica la responsabilità del grave stato di tensione tra i due paesi.

Nel frattempo, Mussolini, ignorando la parola data, stava già proclamando in pubblico la sua dichiarazione di guerra agli Stati Uniti. Alla fine batté Hitler di qualche minuto, proprio come avevano temuto i tedeschi. Davanti a circa centomila persone meno pervase da quell’entusiasmo travolgente che aveva accolto la dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna e alla Francia del 10 giugno 1940, il Duce concentrò il suo breve intervento, quindici minuti, sul carattere globale della guerra in corso.

In conclusione Hitler parlò dello scontro tra il Reich e un’alleanza del «mondo anglosassone-ebreo-capitalista con il bolscevismo», che stava provando a «sterminare» la Germania. L’intero discorso di Hitler fu interrotto da numerosi ovazioni e risate durante i passaggi più sarcastici e irridenti. All’annuncio dello stato di guerra ci fu un interminabile applauso. Il Terzo Reich adesso era formalmente in guerra con gli Stati Uniti.

Ancora una volta Hitler aveva giocato un azzardo. La scommessa del dittatore nazista si basava fondamentalmente sull’apertura del fronte del Pacifico grazie alla guerra scatenata dal Giappone. In questo scenario Hitler riponeva la speranza che gli USA avrebbero dovuto interrompere per molti mesi il programma di rifornimenti di armi, munizioni e materiali a Gran Bretagna e Unione Sovietica, permettendogli così di arrestare le offensive dell’Armata Rossa sul fronte orientale e degli inglesi in Nord Africa. Questo nuovo scenario avrebbe dovuto dare la possibilità alla Germania di sconfiggere in modo decisivo la Russia di Stalin per poter poi rivolgersi all’occidente senza il cappio del doppio fronte. La scommessa di Hitler si rivelerà sbagliata ed aver sfidato contemporaneamente la più grande potenza industriale /USA) del mondo e l’esercito più numeroso del pianeta (URSS) segnerà la sua fine e quella del nazifascismo.

Fonti:

Laderman, Charlie; Simms, Brendan. I cinque giorni che hanno cambiato la seconda guerra mondiale

Per la foto si ringrazia Alamy Stock Photo.

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