sabato, Maggio 18

Gusti e sapori della cucina medievale

Molti studiosi dell’alimentazione considerano la cucina medievale pesante, grassa e indigesta. Se ci limitiamo a considerare le salse utilizzate, questo convincimento è certamente errato. In nessuna salsa viene utilizzato il burro o l’olio, le basi sono costituite piuttosto da mollica di pane, mandorle o noci tritate a cui si aggiungono come elemento principale una sostanza più o meno acida, l’agresta (un succo estratto dall’uva acerba), l’aceto e talora il succo d’arancia amara o del limone. Spesso sono completate dall’impiego di alcune spezie.

Anche l’occhio vuole la sua parte

Questo non significa che la dieta medievale fosse equilibrata, soprattutto nelle tavole di nobili e borghesi benestanti si mangia troppo, si eccede nella carne e nel contenuto proteico in generale. Gli alimenti vengono trattati in modo da acquisire colorazioni vivaci e del tutto innaturali. Questo artificio viene effettuato tramite prodotti naturali e artificiali. La radice di “alcanna” fornisce un rosso brillante. Gli oricelli “girasole”, dei licheni fogliacei, permettono di ottenere varie gradazioni di rosso, fino al violaceo, al violetto e al blu.

Spezie come se piovesse

In compenso si fa un gran uso di spezie, soprattutto almeno per le classi agiate, si preferisce quelle provenienti dall’Oriente. Anche in questo caso assistiamo ad un avvicendamento, lentamente scompaiono le spezie utilizzate dai romani per essere rimpiazzate con altre come i chiodi di garofano, il cardamomo, la galanga, la noce moscata, il macis o i grani del paradiso. Il pepe importato prevalentemente da Venezia in grandi quantitativi, mantiene un prezzo stabile ed è la spezia più usata e abbordabile dal popolo. Nel XIV secolo, il medico Arnaldo da Villanova lo definisce il “condimento dei poveri”.

La fortuna delle spezie è testimoniata dai ricettari dell’epoca, almeno l’80% delle ricette descritte contengono l’uso di una o più spezie. Sono ingredienti indispensabili non soltanto per preparare piatti a base di carne o di pesce ma anche per le minestre, gli entremets e le portate che concludono il pasto. E come se non bastasse se ne fa uso abbondante anche per le bevande come il chiaretto, l’ippocrasso, vini per l’appunto speziati, mielati e zuccherati che vengono serviti perlopiù a fine pasto con confetture, marmellate e canditure.

Per concludere sull’utilizzo delle spezie i ricettari medievali smentirebbero la convinzione che il loro utilizzo sia dettato soprattutto dall’esigenza di “mascherare” prodotti la cui conservazione inizia a farsi problematica. Infatti nelle ricette viene indicata con estrema precisione la quantità da utilizzare, la giusta combinazione con l’alimento principale, il momento nel quale devono essere inserite nella preparazione.

Le spezie dei poveri

Per contadini, operai e garzoni il mondo delle spezie esotiche è di fatto precluso. I meno fortunati devono accontentarsi di ingentilire le loro pietanze con aglio, cipolla, prezzemolo, menta e finocchio. Aglio e cipolle vengono utilizzate però con abbondanza anche nelle tavole delle classi benestanti. Le salse a base di aglio (semplice, bianco, rosa, per pesci) compaiono spesso nei libri di cucina.

La cucina “internazionale”

I sapori medievali non sono diversi soltanto in base al censo della popolazione ma anche in virtù della loro posizione geografica. Esistono comunque piatti per così dire “internazionali” che però vengono reinterpretati in base alle diverse regioni, uno di questi è il “biancomangiare”. Il biancomangiare è molto noto tanto in Italia quanto in Inghilterra, in Germania, in Catalogna e in Francia. L’esigenza del bianco comporta l’uso di ingredienti di questo colore. Questo cibo è poco speziato, per cui i medici lo raccomandano ai malati.

Una caratteristica dei gusti medievali è la mancata distinzione, in termini di ingredienti e portate, tra il salato e il dolce. Qualsiasi salsa e qualunque brodo possono comportare elementi sia salati che dolci. In Occidente si usa poco il miele, ingrediente molto amato invece dai romani.

Come ti addolcisco i piatti

Lo zucchero costa moltissimo, sia quello coltivato in Sicilia e Andalusia, sia quello importato dall’Oriente. In Francia fino al XIV secolo lo zucchero verrà usato come ingrediente di tipo medicinale e soltanto dopo inserito nella gastronomia del paese, mentre il suo uso in cucina era già noto e praticato Catalogna, Italia e Inghilterra. Fino agli inizi del Trecento i cuochi francesi utilizzano per addolcire le portate vini dolci e frutta secca. I francesi preferiscono gusti acidi associati a spezie, mentre gli inglesi hanno una passione per i sapori agrodolci. Gli italiani invece hanno una preferenza marcata per il dolce.

Signori e signore: la pastasciutta

Gli italiani però già nel tardo Medioevo mostrano una passione smodata per quello che diverrà uno dei piatti iconici della penisola: la pasta. Le forme prodotte sono quelle dei ravioli, lasagne, maccheroni, vermicelli, gnocchi. Alcuni libri italiani di cucina contengono ricette di lasagne a base di farina e acqua, cotte in brodo di carne nei giorni di grasso, o accomodate in latte di mandorla durante la Quaresima.

Profonde sono le differenze regionali nei gusti delle persone. In Francia, ad esempio, i bretoni sono ghiotti di formaggi, gli abitanti di Frisia e Zelanda usano abbondantemente il burro, praticamente sconosciuto in Italia, tanto che quando re Renato d’Angiò si stabili in Provenza, regione contrassegnata da estesi oliveti, deve rivolgersi a un compatriota angioino per rifornire di scorte di burro la sua cucina.

Per saperne di più:

Alimentazione medievale

Il cuoco più grande del Medioevo

Verdon, Jean. La vita quotidiana ai tempi del Medioevo

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