Fino a circa un secolo fa la comunità scientifica era tutt’altro che certa che l’universo fosse popolato da un numero considerevoli di pianeti, anzi molti ritenevano che il Sistema Solare rappresentasse se non un’eccezione, una rarità assoluta.
In parte queste speculazioni dipendevano dalla difficoltà di osservare e rilevare i pianeti come si fa con le stelle e le galassie. I pianeti sono immensamente meno brillanti delle stelle, quel po’ di radiazione elettromagnetica che emettono, nella banda degli infrarossi, è dovuta al fatto che sono comunque oggetti più caldi dello spazio che li circonda. Troppo poco per poter osservare direttamente quelli che sono fuori dal Sistema Solare e che tecnicamente sono chiamati esopianeti.
La caccia agli esopianeti pertanto è partita osservando le stelle attraverso due metodi fondamentali. Il primo si ricava dalla misurazione dell’orbita della stella intorno al baricentro del suo sistema. Nel caso del Sistema Solare questo baricentro cade appena fuori la superficie del nostro astro. Il sole non occupa una posizione stabile, ma ondeggia un po’ intorno a questo baricentro per effetto della presenza dei pianeti che compongono il Sistema Solare. Queste lievi e periodiche oscillazioni per un osservatore lontano rappresentano l’evidenza della presenza di corpi celesti dotati di una significativa massa, in altre parole pianeti.
Per misurare l’entità dello spostamento della stella in questione facciamo affidamento sull‘effetto Doppler: la luce di un oggetto che ci viene incontro aumenta di frequenza ed appare di colore blu, mentre la luce di una stella che si allontana diminuisce di frequenza ed il colore vira sul rosso. E grazie allo spettrografo siamo in grado di misurare i movimenti della stella influenzati dalle forze gravitazionali dei pianeti che gli orbitano attorno.
L’altro metodo è quello detto del transito. Quando un pianeta passa davanti ad una stella questo provoca una lieve diminuzione dell’intensità della luce emessa. Studiandone accuratamente la periodicità anche per evitare i falsi positivi si sono con questo metodica individuati un bel numero di esopianeti.
Entrambi questi metodi permettono di misurare il periodo orbitale e la distanza dell’esopianeta individuato, inoltre utilizzando la tecnica dell’effetto Doppler, detta anche della velocità radiale, otterremo una stima della massa, mentre con la tecnica del transito possiamo acquisire informazioni sul raggio del pianeta oggetto di investigazioni.
Per molti decenni pur conoscendo teoricamente le opportunità di questi due metodi, l’inadeguatezza tecnologica ha impedito ad astronomi e fisici di intraprendere una vera caccia agli esopianeti.
Il primo pianeta fuori dal nostro Sistema Solare fu scoperto nel 1995 intorno alla stella 51 Pegasi. Noto anche come Bellerophon o Bellerofonte, e successivamente rinominato Dimidium, il pianeta era più vicino alla propria stella di quanto lo sia Mercurio con il Sole.
La scoperta del pianeta fu annunciata il 6 ottobre del 1995 da Michel Mayor e Didier Queloz sulla rivista Nature. La scoperta avvenne all’Observatoire de Haute-Provence, in Francia, grazie al metodo della velocità radiale.
Da allora non è quasi passato giorno senza che si scoprisse un nuovo pianeta, a marzo di quest’anno, quelli confermati ufficialmente erano 3764 mentre qualche altro centinaio sono ancora in attesa di definitiva conferma.
La stragrande maggioranza di questi esopianeti è stata scoperta dalla missione Kepler, una missione spaziale della NASA parte del programma Discovery, il cui scopo è la ricerca e conferma di pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle diverse dal Sole, tramite l’utilizzo del telescopio spaziale Kepler. Il veicolo spaziale, chiamato in onore dell’astronomo tedesco del diciassettesimo secolo Johannes Kepler, è stato lanciato con successo il 7 marzo 2009.