giovedì, Settembre 19

L’igiene nel Medio Evo

Il concetto di pulizia nel Medio Evo era molto differente rispetto a come lo concepiamo noi contemporanei, anche se poi non molto distante da come si praticava l’igiene 70 od 80 anni fa soprattutto nelle zone rurali. Nelle case non c’era l’acqua corrente e l’acqua calda era un lusso che pochi si potevano concedere. Inoltre c’era la convinzione popolare che lavarsi rappresentasse un rischio per la salute poiché apriva i pori della pelle spalancando le strade al contagio.

Quindi più che immergersi nell’acqua ci si lavava a “secco” strofinandosi vigorosamente con un panno. Questo non significa in assoluto che durante il Medio Evo non ci si lavasse. Il bagno aveva un forte richiamo simbolico e religioso perché associato – a partire dal battesimo – con l’abluzione dal peccato. Anche medici ed eruditi – come nel Duecento il francescano Bartolomeo Anglico, autore dell’enciclopedico De proprietatibus rerum (“Le proprietà delle cose”), in dotta compagnia con Vincenzo di Beauvais, Arnaldo di Villanova, Aldobrandino da Siena e Michele Savonarola – insistevano molto sul carattere salutistico del bagno, che serviva a ritemprare il corpo dalle fatiche e a garantire (o ripristinare) il fatidico equilibrio tra gli umori.

I bagni pubblici eredi delle antiche terme romane e degli hammam islamici erano diffusi in tutte le più importanti città europee. Carlo Magno ne fece costruire alcuni, ad Aquisgrana, in grado di ospitare più di 100 persone contemporaneamente. A partire dal Mille la loro esistenza è documentata in Germania (Ulma, Spira, Worms) nelle Fiandre, in Catalogna (Barcellona, Lerida) e a Parigi (che alla fine del Duecento ne aveva ben venticinque). In Italia, dove ancora esistevano resti di terme antiche (Lucca, Viterbo, Acqui ecc.) si provvedette a rimetterle in funzione.

Anche nei monasteri maschili e femminili erano presenti dei balnea dislocati di solito non lontano dall’infermeria e curati dal monaco erborista. Se la gente comune al massimo si sciacquava il viso e le mani con acqua fredda i ricchi potevano permettersi un vero e proprio bagno contando sul lavoro servile e sul fatto che per loro utilizzare grossi quantitativi di legna per scaldare l’acqua non costituiva un problema. Gli stessi poemi cavallereschi sono ricchi di episodi che mostrano come la nobiltà avesse il culto della pulizia: quando giungeva uno straniero a corte, il dovere di ospitalità imponeva di preparargli un bagno caldo.

Il sapone era già noto ma poco usato perché molto costoso. Lo storico latino Plinio il Vecchio (23-79) nella sua Naturalis Historia attribuisce infatti ai galli l’invenzione di una sostanza chiamata sapo (sapone, appunto), ricavata dal miscuglio di ceneri di faggio e grasso di capra. Il sapone più vicino a quello contemporaneo era però prodotto in Oriente dagli Arabi. Essi utilizzavano per detergersi un miscuglio ricavato da grassi vegetali come l’olio di oliva, saponificato grazie alla soda caustica e aromatizzato con profumi e balsami: ne conosciamo le “ricette” per la fabbricazione grazie all’opera del medico, alchimista e filosofo Abū Bakr Mohammad Ibn Zakariya detto al-Razī (845 ca.-925).

Con la conquista della Sicilia e della Spagna il sapone arabo si diffuse nell’Occidente cristiano ma il vero e proprio boom commerciale si ebbe nel periodo delle Crociate. Si iniziò quindi a diffondere la produzione anche in Europa, partendo dalla Spagna, dalla Francia (con il famoso sapone di Marsiglia) e dall’Italia. Nel Medio Evo differentemente da oggi il bagno non era quasi mai un fatto “privato” quasi sempre marito e moglie delle classi nobili o altolocate lo facevano insieme come dimostra un dipinto di Memmo di Filippuccio (inizio XXV secolo) che si può ammirare nel Palazzo Comunale di San Gimignano.

Nei ceti inferiori si faceva in genere il bagno completo, a casa, una o due volte l’anno. In quell’occasione per primo si lavava il capofamiglia, poi tutti gli altri componenti, in genere per Natale e Pasqua. Anche i capelli venivano lavati raramente preferendo spalmarli di unguenti. Per evitarne la caduta Ildegarda di Bingen consigliava questo preparato: “Quando i capelli cominciano a cadere in un uomo ancora adolescente, questi prenda grasso di orso e un poco di cenere ottenuta dal grano o dalla paglia di grano invernengo, mescoli il tutto e con questo si cosparga, poi, tutta la testa specialmente i punti in cui cominciano a cadere i capelli. Eviti, inoltre, per un certo tempo di lavare via questo unguento dalla testa.”

Va da se che in queste condizioni la presenza dei pidocchi era praticamente costante e la gente passava il tempo, specialmente la sera a spidocchiarsi reciprocamente magari con l’ausilio di pettini d’osso. Anche gli abiti si cambiavano poco. Nobili e ricchi mercanti in genere avevano un guardaroba piuttosto fornito e poteva farlo più spesso ma la maggior parte della popolazione possedeva un solo abito o al massimo due che lavava rarissimamente e soltanto nella bella stagione. Le mutande iniziarono a diffondersi soltanto nel Duecento e tra gli uomini. Se questo era il livello complessivo di igiene ci si può immaginare l’odore, per non dire la puzza, che permeava città e villaggi medioevali. Anche perché accanto a un’umanità tendenzialmente poco amante della pulizia vivevano in assoluta promiscuità animali e bestie di ogni genere. Il rischio di malattie ed epidemie era pertanto altissimo e l’aspettativa di vita molto bassa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Verified by MonsterInsights