giovedì, Settembre 19

Covid19: il modello Corea

L’epidemia di Covid19 non accenna a placarsi in Italia, anche oggi in attesa del consueto aggiornamento della Protezione Civile alle ore 18, i dati comunicati dalla Regione Lombardia, epicentro della malattia nel nostro paese, parlano di 2500 nuovi contagiati.

Entro due giorni, dopo averla superata da tempo per numero di decessi, l’Italia supererà la Cina anche rispetto al numero assoluto di contagiati, mentre scriviamo la situazione è: Cina 81.782 infetti, Italia 74.386.

In questo quadro funesto per il nostro paese e per Stati Uniti ed Europa, aree dove la pandemia sembra infuriare in modo particolare, occorre mantenere i nervi saldi ed allo stesso tempo ispirarsi alle “buone pratiche” adottate da altri paesi che sembrano se non aver completamente domato Covid19, avere la situazione pienamente sotto controllo con una significativa mitigazione degli effetti.

Più che alla Cina dovremmo guardare al modello rappresentato dalla Corea del Sud paese molto più simile al nostro per regime politico (si tratta di una democrazia), per aspettativa di vita 82,02 anni, per sistema economico (economia di mercato) e popolazione circa 52 milioni di abitanti.

La Corea del Sud che soltanto un mese fa era il secondo focolaio epidemico dietro la Cina, adesso occupa il decimo posto di questa tragica classifica con 9.241 casi di contagio accreditati formalmente. Quello che però è ancora più straordinario è che i decessi per Covid19 nel paese asiatico sono ad oggi soltanto 131 ed i guariti dall’infezione 4.144. Il tasso di mortalità in Corea è pertanto soltanto del 1,42%!

La Corea del Sud è l’unico paese al mondo che è stato in grado di mettere sotto controllo l’epidemia in circa un mese! Questo è stato possibile grazie all’esperienza messa a frutto con un’epidemia di MERS (Middle east respiratory syndrome) che ha colpito la Corea nel 2015 provocata da un altro coronavirus diverso ma “cugino” di SARS-Cov-2.

I coreani hanno imparato la lezione e predisposto dei piani pandemici nei quali la tecnologia ha giocato un ruolo fondamentale. Per individuare tutte le persone potenzialmente infette accanto alle tradizionali interviste sono stati raccolti dati contenuti negli archivi degli accessi agli ambulatori e alle farmacie, dove le persone in possesso dell’assicurazione sanitaria lasciano traccia del loro passaggio. Il percorso del paziente è stato verificato anche con i dati gps del telefono cellulare, a disposizione delle autorità di polizia. Sono stati inoltre usati gli archivi delle carte di credito, conservati dagli enti finanziari, e le registrazioni delle videocamere di sorveglianza.

L’insieme di questi dati, uniti ad una ferrea e spontanea disciplina sociale, ha permesso di individuare, testare (uso massiccio dei tamponi) ed isolare le persone contagiate. In questo modo è stata fatta mancare la “terra sotto i piedi del virus” che ha trovato molta più difficoltà nel trasmettersi e replicarsi.

L’Italia che è stata presa completamente alla sprovvista dalla pandemia con una call lanciata dal Governo ha fatto un appello alle aziende informatiche, ai centri di ricerca, alle start up più innovative per raccogliere proposte tecnologiche in grado di coadiuvare le autorità nella seconda fase dell’epidemia quando un auspicabile calo del contagio comporterà il graduale allentamento delle restrizioni di distanziamento sociale attuate in queste settimane.

Non è molto, come non è sufficiente il numero giornaliero di tamponi eseguiti, ma è quello che il nostro paese sembra in grado di mettere in campo in una situazione di crisi senza precedenti.

La speranza è che quello che sta accadendo in questi mesi non sia dimenticato quando la pandemia tra un anno o più sarà alle nostre spalle e l’Italia oltre ad un deciso rafforzamento della sanità pubblica si doti di piani pandemici realmente operativi in grado di scattare con efficacia un’ora dopo la proclamazione di una nuova epidemia.

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