giovedì, Settembre 19

Badoglio: Capitolo finale

Abbiamo ripercorso la vita di Pietro Badoglio, uomo per tutte le stagioni, dalla nascita alla vittoriosa campagna etiopica nei precedenti articoli, Episodio 1 ed Episodio 2.

Con questo articolo affrontiamo l’ultima stagione del gattopardo in divisa più famoso d’Italia. Quando rientra da Addis Abeba dopo la breve campagna etiopica nella quale non esitò per stroncare la ribellione di Hailè Selassiè ad usare anche i gas velenosi, verrà accolto in trionfo dal regime. Sbarca a Napoli dove ad accoglierlo è il principe ereditario che lo accompagna in auto per le strade della città campana, mentre una folla plaudente inneggia al suo nome.

Nel suo tour celebrativo sarà ricevuto dal Papa ed andrà in Germania per assistere alle manovre dell’esercito tedesco, in quell’occasione incontra anche Hitler. Il regime fascista gli conferisce la tessera ad honorem del partito. Lui ringrazia e come “regalo” chiede un terreno per costruirsi una villa a Roma e 5 milioni di lire per le spese di edificazione. Gliene concederanno “soltanto” 3,5 milioni.

Badoglio sa di essere al massimo del suo potere personale e non si fa scrupoli nel chiedere favori e prebende. Quando gli anticipano che vogliono farlo duca di Addis Abeba, chiede la trasmissibilità del titolo per i suoi figli. Lui è già marchese del Sabotino ed ha due figli maschi, quindi gli sembra giusto, assicurare una “discendenza nobiliare” ad entrambi.

Il destino però non sarà così pietoso nella vita privata, la moglie Sofia Valania che il nostro sposa quando ha appena 19 anni morirà per un tumore a 57 anni nel 1942. Dei suoi quattro figli Mario, Francesco, Paolo Ferdinando e Maria Annunziata, il secondo morirà ad appena 3 anni nel 1911 e Paolo Ferdinando morirà  per un incidente sul fronte a Sebha il 30 aprile 1941.

Nel 1937 all’apice della sua carriera il cinquantaseienne Badoglio cumula stipendi ed indennità per le seguenti cariche: Maresciallo del Regio Esercito, senatore del Regno, viceré d’Etiopia, Ambasciatore in Brasile, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, governatore della Libia e Capo di Stato Maggiore Generale. Ogni mese in tasca a Badoglio entrano 100.000 lire del 1937, oltre 91.000 euro di oggi, circa 1.100.000 euro l’anno!

Incensato ed arricchito da Mussolini il nostro torna a fare il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito come da sua richiesta, ma invece di occuparsi della modernizzazione e del rafforzamento delle forze armate rimaste sostanzialmente al livello della Grande Guerra preferisce coltivare i propri interessi e muoversi sapientemente nell’intricato labirinto del potere fascista romano. Cosicché quando l’Italia il 10 giugno 1940 entra in guerra lo fa con un esercito inadeguato, scarsamente equipaggiato e con armi obsolete.

La sciagurata campagna di Grecia fortemente voluta da Mussolini gli provoca i primi guai. Pubblicamente lascia le operazioni in mano al Duce anche se privatamente lo critica per la sua inadeguatezza. Il disastro greco presenta il conto a Badoglio. Roberto Farinacci, ras di Cremona, uno dei fascisti più rozzi e violenti, lo attacca dalle colonne del suo giornale “Il regime fascista” con un fondo che è tutto un programma: “Zavorra piccolo borghese”.

Badoglio va da Mussolini e dice che se Farinacci non ritratta lui si dimetterà da Capo di Stato Maggiore. Il Duce tergiversa. Allora si reca dal Re Vittorio Emanuele III che mellifluamente lo rassicura dicendogli che comprende bene la sua amarezza e la sua posizione. In realtà il Re e Mussolini sono d’accordo sulla destituzione di Badoglio, accolgono le sue dimissioni e gli comunicano il subentro di Ugo Cavallero, uno dei suoi avversari.

Badoglio si sente crollare il mondo addosso. Vicino ai 70 anni si ritrova improvvisamente disoccupato e fuori dai giri che contano. Intorno a lui il regime ha steso un cordone sanitario, tanto che ai funerali della moglie nel 1942 parteciperanno soltanto due personaggi illustri il generale Roatta e l’Ambasciatore tedesco a Roma.

La catastrofe greca lo ha marchiato per sempre. Mai dare però Badoglio per morto, il suo desiderio di vendetta ed il suo opportunismo gli apriranno di li a breve un clamoroso ed inaspettato ritorno. Badoglio incontra nella sua villa a Roma numerosi esponenti di quelli che il Re chiama i “fantasmi”, uomini politici e personalità anagraficamente della sua età con i quali discute della situazione italiana.

L’anno decisivo è il 1943. L’esercito affidato al generale Vittorio Ambrosio inizia a prendere le distanze dal regime che nel frattempo matura una fronda interna capeggiata dal gerarca Dino Grandi che porterà nella drammatica riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 24/25 luglio alla destituzione di Mussolini ed al suo arresto.

Nella mattinata del 25 luglio 1943, prima ancora di ricevere Benito Mussolini a Villa Savoia, il settantaquattrenne Vittorio Emanuele III conferì a Pietro Badoglio l’incarico di formare il nuovo governo; il maresciallo d’Italia accettò, controfirmando l’apposito decreto. Il nuovo capo del governo aveva settantadue anni. Più tardi, alle ore 17:00, avviene l’arresto dell’ex primo ministro Benito Mussolini.

Nei 45 giorni che intercorreranno tra la destituzione di Mussolini e l’armistizio Badoglio dimostrerà la sua totale inadeguatezza al grave momento che attraversa il paese, abbandonando di fatto il nostro esercito a se stesso e preoccupandosi soltanto di saldare vecchi conti in sospeso come ad esempio arrestare l’odiato Cavallero. Badoglio si barcamena come può, cerca di rassicurare i tedeschi che nel frattempo stanno invadendo dal Brennero la penisola e non prende seri contatti con gli Alleati.

Soltanto il 12 agosto, 18 giorni dopo la destituzione del Duce, aveva inizio il primo tentativo effettivo di trattative di pace con gli Alleati, affidato al generale Giuseppe Castellano. Nemmeno tale missione, tuttavia, fu attuata con la speditezza che la drammaticità della situazione esigeva. Le istruzioni che il generale ebbe, per bocca del capo di stato maggiore Ambrosio furono di esporre la situazione militare, ascoltare le intenzioni degli alleati e, soprattutto “dire che noi non possiamo sganciarci dalla Germania senza il loro aiuto”.

Il Re non è contento di Badoglio e lo dice chiaramente ed a più riprese, l’ultima volta due giorni prima del’8 settembre. Dopo varie peripezie Castellano firma il 3 settembre, a Cassibile nei pressi di Siracusa, l’armistizio. La sera del 7 settembre, dopo essere sbarcati a Gaeta, giunsero a Roma due ufficiali americani (Maxwell D. Taylor e William Gardiner), che alle 23:00 incontrarono il generale Carboni per concordare i particolari dell’Operazione Giant 2 che doveva mettere in sicurezza Roma, comunicandogli ufficialmente che, l’indomani alle 18:30, doveva essere resa nota l’avvenuta sottoscrizione dell’armistizio. A tale annuncio, il generale Carboni fu preso dal panico e, contrariamente a quanto assicurato ad Ambrosio il giorno prima, sostenne con forza che lo schieramento italiano non avrebbe potuto resistere più di sei ore alle truppe tedesche.

Alle 17.45 del’8 settembre l’agenzia Stefani capta una comunicazione della Reuter che annuncia l’uscita dalla guerra dell’Italia. Il resto è noto, il Re, Badoglio ed un folto gruppo di funzionari e generali fugge da Roma, direzione Brindisi, abbandonando senza disposizioni a se stessi esercito e popolazione.

Roma si arrende ai tedeschi il 10 settembre alle ore 16:00. A Brindisi si stabilisce la sede del governo che, sotto la tutela dell’Amministrazione Militare anglo-americana, ebbe giurisdizione sulle provincie di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto.

Il 29 settembre 1943 Badoglio firma a Malta il cosiddetto armistizio lungo. Il 13 ottobre dichiariamo guerra alla Germani, ottenendo in cambio lo status di cobelligeranza, l’unico contentino di una serie di clausole durissime previste dall’armistizio “lungo”. Badoglio sa che deve integrare il suo governo con gli esponenti dei partiti antifascisti ma questi pretendono ed alla fine ottengono l’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del figlio che avviene il 12 aprile 1944.

Nel frattempo già dal febbraio di quell’anno il governo di Badoglio si è trasferito da Brindisi a Salerno. Badoglio sopravviverà soltanto pochi mesi al Re che aveva servito con discutibili risultati per tutta la vita, l’8 giugno 1944, con il ritorno a Roma, il maresciallo Badoglio dovette rassegnare le dimissioni nelle mani del nuovo luogotenente del Regno. Gli successe il 18 giugno Ivanoe Bonomi.

Ancora una volta l’uomo per tutte le stagioni, colui che era uscito impunito dal disastro di Caporetto, il generale che si era arricchito con Mussolini, scamperà al mandato di arresto per la mancata difesa di Roma. In suo favore interverrà Winston Churchill ed il provvedimento restrittivo verrà revocato.

Passerà gli ultimi anni della sua vita nella villa che si era costruito sulla Salaria, tranne i mesi estivi che passava nella sua Grezzano a giocare a bocce con gli amici di una vita. A prendersi cura di Badoglio fino agli ultimi istanti la governante Augusta Pellegrinetti ed il colonnello Francesco Bonora.

La giornata tipo del pensionato Badoglio ci viene raccontata proprio dal colonnello Bonora: il nostro si alzava alle otto faceva colazione con caffèlatte e due biscotti. Poi se era bel tempo si concedeva una camminata chiacchierando. Alle 12 pretendeva di pranzare con assoluta puntualità e se si verificava un ritardo anche di pochi minuti andava in escandescenze. Mangiava di tutto senza particolari preferenze non rinunciando mai ad un buon bicchiere di vino. Dopo pranzo si riposava un po’ in poltrona e poi giocava a bridge fino alle otto di sera. A quell’ora cenava con caffèlatte e frutta cotta ed alle 21.30, puntualmente, andava a letto.

Nel 1953 gli muore un altro figlio, Mario e soffrì terribilmente per quest’ennesimo lutto. Pietro Badoglio morì a Grazzano il 1º novembre 1956 per un attacco di asma cardiaca. I funerali si svolsero il 3 novembre successivo, anniversario della firma dell’armistizio di Villa Giusti, con la partecipazione dei rappresentanti del governo, delle autorità e con tutti gli onori militari.

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