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L’illusione delle “Aspettative”.

Il tema di oggi che, come spesso accade, nasce dall’affidabilità delle esperienze quotidiane, verte sul ruolo delle aspettative all’interno della dimensione relazionale, si tratti di ciò che desidererebbe da noi chi ci circonda, o di quanto noi stessi riponiamo negli altri desideri personali, nella speranza che questi li avverino; investendo le persone, ed il rapporto con queste, di aspettative.  

Vi è mai capitato di sentire la pressione di genitori che vorrebbero intraprendeste un determinato percorso accademico, lavorativo, di vita; di amici che vorrebbero foste più presenti, più precisi, “più, o diversi, di quel che siete”?  Oppure, vi è mai capitato di aver sperato che qualcuno agisse nei vostri confronti esattamente come fareste voi nei suoi?

Ecco, benvenuti nella sfera relazionale dell’aspettativa, dell’ aspettarsi che qualcuno, o qualcosa, accada.

Il sito Unaparolaalgiorno.it – portale volto alla scoperta quotidiana del vocabolario italiano – afferma che l’etimologia della parola Aspettativa derivi dal latino exspectare (aspettare, con un cambio di prefisso), il cui significato è garantito dalla composizione di ex (in italiano: fuori) e spectare (guardare); dunque attesa per la riuscita di qualcosa, proiezione di speranze, progetti..

Quanto investiamo del nostro tempo, dei sentimenti, dell’ impegno, a far sì che le altrui aspettative, o le nostre nei confronti di altri, possano realizzarsi e non rimanere puramente idealizzazioni? E quale percentuale di delusione si potrebbe ricavare da questo meccanismo oggi piuttosto insito nell’evoluzione dei rapporti?

Non sarà mica, l’aspettativa stessa, idealizzazione dell’altro per come noi vorremmo fosse, per come vorremmo essere – o siamo – noi?!

A questo proposito diviene importante fermarsi un secondo a pensare quanto si proietti di noi sull’altro; ciò che ci aspettiamo, spesso, non è esattamente ciò che l’altro farebbe per noi, e la delusione che, talvolta, l’aspettativa provoca, potrebbe – anziché gravare sul’errore dell’altro, tradursi ai nostri occhi come una “pugnalata alla schiena” – , rivelando la limitatezza della nostra stessa visione della situazione.

Chi mi circonda non tiene realmente a me“, “Non è proprio alla mia altezza“.. Spesso diveniamo artefici dei nostri mali perché a causa di queste fantomatiche aspettative – che scambiamo per conoscenza certa del comportamento altrui, mentre ignoriamo si tratti del nostro modo di percepire il carattere di chi abbiamo di fronte – non rispettiamo la personalità altrui ed un diverso modo di agire, sentire, e magari anche dimostrare emozioni, cosicché cadiamo nell’inganno certo del “qualcosa non va”, che vincola la profondità del rapporto del “noi” (confronto di modi di essere), alla superficialità della pretesa dell’Io di comprendere e giudicare a pieno l’Altro.

Per il fatto che non tutti agiscono esattamente come vorremmo, molti rapporti (di qualsiasi natura) continuamente si incrinano, sono causa di incomprensioni, e successivamente di disillusione, di sofferenza.

Ora, se è ancora vero che il mondo sia bello perché vario, non lo sarebbe certamente di più se riuscissimo a rispettare la diversità, a spogliarci dei nostri castelli mentali, delle nostre aspettative, e ci limitassimo a dare il nostro contributo, per come siamo, e a godere di ciò che gli altri hanno da darci, a modo loro, senza sentirsi pericolosamente vincolati – o vincolanti – alle aspettative?

Se facessimo tutti le stesse cose, se pretendessimo tutti le stesse dimostrazioni, nemmeno l’arte avrebbe più senso d’esistere, perchè non dovremmo più esprimere nulla, non dovremmo più condividere emozioni simili, percepite diversamente.

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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