Alessandro Barbero, classe 1959, oltre ad essere uno dei più brillanti storici italiani ed uno straordinario divulgatore, capace di riempire all’inverosimile le sale durante le sue conferenze/lezioni, è anche, suo malgrado, una star dei social. Le sue conferenze pubblicate da un’incredibile schiera di fedelissimi fan su Youtube raccolgono decine di migliaia, a volte centinaia di migliaia di visualizzazioni.
Ma Barbero è anche un apprezzato romanziere che ovviamente si dedica a quello che sa fare meglio, ovvero il romanzo storico. Come lui spesso ha precisato in molte interviste, la “voglia” di scrivere un romanzo storico è la naturale conseguenza di una sorta di “innamoramento” per un periodo storico o per un personaggio che ha approfondito e studiato nella sua veste principale, ovvero quella dello studioso.
Ad un certo punto cresce irresistibile la voglia di restituire non soltanto al pubblico ma a se stesso, la “musica” di quel periodo storico e la forma romanzo è la più adatta per rievocare con certosina accuratezza il miracolo di rivivere il passato. E’ la stessa genesi che ha partorito la sua ultima fatica letteraria: “Alabama“, edito da Sellerio, 272 pagine, euro 14,25 nella versione cartacea.
Anche in questo caso Alabama nasce da una “full immersion” storica nella Guerra Civile americana, quella che soltanto in Italia chiamiamo Guerra di Secessione. Barbero dopo aver letto una parte della sterminata letteratura e memorialistica su questa sanguinosa guerra tra unionisti e confederati ha sentito l’impellenza di costruire un tessuto narrativo in grado di restituirci la realtà di un’epoca, deprivata dagli orpelli artificiosi e falsi di una certa letteratura e di gran parte della filmografia sul tema.
Per farlo si è affidato ad un artificio narrativo basato su un lunghissimo, a tratti sconclusionato ed irritante monologo di uno degli ultimi reduci della Guerra Civile americana, il centenario sudista Dick Stanton. La vicenda è ambientata negli Anni Quaranta dello scorso secolo nel profondo sud americano. Qui una giovane studentessa cerca di raccogliere il fiume torrenziale ed apparentemente incoerente delle memorie di Stanton per approfondire un tragico massacro di neri avvenuto durante una delle battaglie della guerra civile.
Attraverso i ricordi di Stanton emerge l’umanità un po’ cenciosa ma orgogliosa dei giovani confederati che secondo l’autore alla fine sono gli interpreti più veri del “sogno americano” ovvero di quell’individualismo libertario che pare non aver limiti e di cui fa parte anche il “diritto” di possedere schiavi negri.
Il romanzo che si basa su un virtuosismo stilistico, il lunghissimo monologo del vecchio soltanto marginalmente interrotto dalle riflessioni della giovane studentessa, cattura dalla prima all’ultima pagina, centrando perfettamente uno dei suoi obiettivi: farci vivere nella sua cruda realtà, priva di fronzoli ed abbellimenti, quella drammatica pagina della storia americana.
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