giovedì, Settembre 19

Alla ricerca delle biofirme

La ricerca di vita extraterrestre passa per la rivelazione di quello che chiamiamo biofirma, ovvero qualunque fenomeno o elemento, come un isotopo o una molecola, in grado di fornire prove scientifiche sulla presenza di vita fuori dal nostro pianeta.

E se dal punto di vista statistico, fuori dal Sistema Solare, i numeri ci danno fondate ragioni per essere convinti che negli innumerevoli pianeti disseminati nello spazio profondo sia ragionevole aspettarsi la presenza di forme viventi, la nostra attuale capacità di studio degli “esopianeti” è al momento piuttosto limitata.

Per capirci il pianeta roccioso scoperto nel 2016 intorno a Proxima Centauri, la stella più vicina alla Terra, distante circa 4,3 anni luce da noi, come dire dal punto di vista delle distanze astronomiche, appena dietro l’angolo di casa, è fuori dalle nostre capacità tecnologiche attuali per poter scoprire con certezza se è abitato da forme, anche elementari, viventi.

E tutte le altre stelle sono molto, ma molto più lontane, moltiplicando enormemente le difficoltà. Lo stesso vale per i pianeti: non siamo in grado di poter «vedere» un pianeta, cioè ottenere un’immagine della sua superficie come noi facciamo da Terra o tramite i telescopi spaziali di Marte o Venere o anche Giove: nulla del genere, ancora per molte decine di anni, sarà possibile.

Ecco allora che dobbiamo affidarci nella ricerca delle biofirme all’indagine spettroscopica cioè dall’analisi chimica dei gas dell’atmosfera di quei pianeti posti in condizioni favorevoli. La biofirma più gettonata è ovviamente la presenza di ossigeno nell’atmosfera di un pianeta.

Sulla Terra se non esistesse la vita, dati alla mano avremmo una presenza di ossigeno nell’atmosfera di dieci ordini di grandezza inferiori ai livelli attuali. Individuare ossigeno nell’atmosfera di un esopianeta è quindi un buon punto di partenza, ma non da alcuna sicurezza di un’effettiva presenza della vita.

Infatti ci sono molti modi «abiotici» (in assenza di vita) di produrre ossigeno in un pianeta con una geologia, una chimica di superficie e un’atmosfera diversa dalla nostra. Per esempio, la fotodissociazione della molecola dell’acqua, che può avvenire per effetto serra da eccessivo vapor d’acqua, può generare significative quantità di ossigeno senza alcuna presenza di vita.

Un altro indicatore utile può essere la condizione di “equilibrio” dell’atmosfera di un pianeta, ovvero se l’atmosfera “sta in piedi” da sola oppure è sorretta da attività biogenica. Nel caso del nostro pianeta, senza la vita, l’atmosfera terrestre virerebbe verso l’equilibrio della abiogenesi, ovvero della morte.

Anche questo indicatore, per altro molto complesso da misurare, non è univoco, esistono infatti condizioni di disequilibrio anche abiotiche, tipo vulcani o altri processi geochimici.

Esistono per fortuna dei gas che, almeno nel caso della vita terrestre, sono sicuramente e unicamente prodotti dalla vita: per esempio, i dimetil solfuri, espulsi in gran quantità dallo zooplancton quando mangia il fitoplancton o altri composti organici dello zolfo. Il problema di questi gas è che sono molto meno abbondanti dell’ossigeno o del metano e pertanto più complicati da rilevare.

Insomma pur studiando attentamente massa, temperatura, atmosfera, orbite e stagioni di un pianeta e cercando tutte le biofirme possibili, acclarare, senza ombra di dubbio, che un esopianeta ospita la vita sarà un impresa difficilissima, se non titanica. Con l’attuale livello tecnologico possiamo al massimo indicare la probabilità che un determinato ambiente possa ospitare forme di vita, magari come è altamente probabile di natura monocellulare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Verified by MonsterInsights