Uno dei primi che cercò di stabilire la velocità della luce fu Galileo Galilei. Egli piazzò due suoi assistenti sulla sommità di due colli prospicenti impegnati tutta la notte, ad accendere e spegnere delle lanterne ad orari prefissati. I due colli distavano l’uno dall’altro qualche centinaio di metri.
Quando scorgevano la luce accesa dovevano gridarlo a voce alta ad un terzo osservatore, lo stesso Galileo che cercava di prendere nota del tempo intercorso.
Questo metodo è ottimo per misurare la velocità del suono secondo il principio per cui tra lo scorgere il lampo e sentire il tuono passa un certo lasso di tempo. Il suono non è rapidissimo: va a circa 1200 km all’ora o 330 metri al secondo se preferite, dunque l’effetto è percepibile ad occhio nudo: ad esempio occorrono circa tre secondi perchè si avverta il boato di un fulmine che cade ad un chilometro di distanza.
La luce va enormemente più veloce ed il metodo usato da Galileo non permise al grande scienziato italiano di misurare la velocità della luce.
Per percorrere un miglio, la luce impiega grossomodo 0,000005 secondi. Un tempo assolutamente non misurabile con gli strumenti a disposizione di Galileo.
Nel 1676, circa 30 anni dopo la morte di Galileo, un astronomo danese Ole Romer che allora lavorava all’Osservatorio di Parigi puntò il telescopio verso i satelliti di Giove allora conosciuti detti “galileiani o medicei”.
Si concentrò sulle loro eclissi e si accorse di un certo ritardo con cui le lune scomparivano e ricomparivano dietro al gigante gassoso.
Questo intervallo temporale dipendeva misteriosamente dalla distanza tra la Terra e Giove che cambia nel corso dell’anno. Romer intuì che questo ritardo dipendeva dalla velocità della luce secondo il principio dell’intervallo tra fulmine e tuono. Romer partì dall’assunto che la velocità della luce non era infinita, e pertanto impiegava un certo tempo per percorrere la strada fra Giove e la Terra. Gliene serviva di più quando la Terra è più lontana. In base alle sue osservazioni Romer stabilisce che la luce viaggi a 220.000 km al secondo (sbagliando i calcoli del diametro terrestre l’astronomo danese definisce un valore pari al 73% dell’effettivo valore di c).
Poco più di 10 anni dopo, il matematico e fisico olandese Christiaan Huygens riutilizza l’idea di Rømer per misurare in modo più preciso la velocità della luce. E il suo risultato si avvicina moltissimo a quello che conosciamo oggi: 300.000 km al secondo. Huygens sostiene inoltre che la luce sia un’onda che si propaga in un mezzo, così come le onde del mare viaggiano nell’acqua o quelle sonore nell’aria. Chiama il mezzo necessario alla luce etere luminifero (cioè “portatore di luce”), sostenendo che questo riempia tutto l’universo e sia composto da microscopiche particelle. Ci vorrà moltissimo tempo per smentire questa previsione, ma torniamo alla misurazione della velocità della luce.
Nel 1850 Armand Fizeau e Jean Foucault due ricercatori francesi, in feroce competizione tra loro, riuscirono a calcolare la velocità della luce con metodi diretti sulla Terra, senza ricorrere a misure astronomiche.
Fu l’inizio di una vera e propria gara tra gli scienziati per determinare la misura più precisa possibile della velocità della luce, gara che continua anche ai giorni nostri.
L’attuale misurazione della velocità della luce, più accreditata, e che in fisica è indicata con la lettera c, è pari a 299.792,458 km al secondo.
Una velocità al momento insuperata in natura.
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