lunedì, Settembre 16

Carlo e le guerre sassoni

Dopo la vittoria contro i Longobardi, Carlo Magno era di fatto il più potente re cristiano d’occidente del tempo. Il suo impero andava dal Mare del Nord fino alle coste adriatiche, il rapporto con il Papa saldissimo e gli altri re cristiani, anglosassoni e spagnoli, politicamente irrilevanti. Tutto intorno all’impero carolingio premevano, oltre i Pireni gli Arabi mussulmani e nelle foreste germaniche i Sassoni, i Danesi e ancora più a est, gli Slavi. Infine nella pianura pannonica gli Avari, “eredi” per così dire degli Unni.

In particolare la guerra contro i Sassoni, che durò circa venti anni anni, fu la più dura e sanguinosa mai combattuta da Carlo Magno, che peraltro passò gran parte della sua vita in guerra. Il primo confronto era avvenuto già nel 772, in quell’occasione l’esercito guidato da Carlo aveva ottenuto una vittoria senza precedenti, bruciando e conquistando il principale santuario dei Sassoni, l’Irminsul, dove sorgeva l’albero sacro ch’essi credevano sostenesse la volta celeste.

Non si trattò però di una vittoria definitiva e quasi ogni anno, durante il periodo estivo, Carlo guidava delle incursioni per cercare di sottomettere l’indomito popolo dei Sassoni che gli resisteva strenuamente. Erano non soltanto guerre di conquista ma anche, una manifestazione ante litteram della “guerra santa cristiana“. Infatti Carlo, anche se non nei primi anni, successivamente si propose come ulteriore obiettivo l’estirpazione di tutti i riti pagani e l’affermazione incontrastata dell’unico vero Dio.

Secondo Eginardo, il biografo di Carlo Magno, il motivo principale della guerra di distruzione che Carlo mosse per gran parte della sua vita contro i Sassoni era da ricercare “nel confine tra noi e loro che attraversava una pianura aperta, tranne in pochi luoghi dove grandi foreste o catene montuose separavano più chiaramente i due paesi; per cui capitavano continuamente, da una parte e dall’altra, assassinii, razzie e incendi”. Insomma secondo Eginardo la labilità dei confini costituiva un problema, si direbbe oggi, di sicurezza nazionale per l’impero Franco.

La guerra tra Franchi e Sassoni fu un evento bellico atroce, in un paese selvaggio, privo di strade, ricoperto da fitte foreste e insidiose paludi. Logorati da una guerra crudele e senza fine, più volte i capi Sassoni chiesero la pace, offrirono ostaggi, accettarono il battesimo e s’impegnarono a consentire l’opera dei missionari. Ma le rivolte erano all’ordine del giorno, appena Carlo era militarmente impegnato su un altro fronte, i Sassoni si ribellavano, massacravano le guarnigioni franche e devastavano i monasteri.

Nel 778 ad esempio, approfittando del fatto che Carlo era con il suo esercito oltre i Pirenei, i Sassoni sconfinarono nella valle del Reno, devastando e saccheggiando le campagne e a stento i comandanti locali riuscirono a contenerli e frenarne l’avanzata. Questa serie di ribellioni fece emergere la necessità tra i Sassoni di superare l’eccessiva divisione tribale e per la prima volta, affidarono il comando unitario di tutte le tribù, ad un unico comandante, il principe Witichindo.

Fu lui a scatenare la ribellione più sanguinosa nel 782 sterminando sulle montagne del Süntel le forze franche che si erano precipitate ad affrontarlo. La reazione di Carlo Magno fu di una crudeltà inaudita, profondamente turbato perché nel massacro avevano perso la vita anche due suoi stretti collaboratori il camerario Adalgiso e il connestabile Geilone, il condottiero franco raccolse un potente esercito.

Sconfisse i ribelli, catturandone migliaia tranne Witichindo che era riuscito a trovare rifugio presso i Danesi e ne fece decapitare in un sol giorno quattromilacinquecento a Verden, sull’Aller, un affluente della Weser. I cronisti dell’epoca cercarono di occultare o giustificare un così inaudito massacro che gettò una macchia indelebile sul lungo regno di Carlo.

Da quel tragico anno Carlo impresse una svolta durissima alla guerra contro i Sassoni, per la prima volta decise di svernare in territorio nemico mettendo a ferro e fuoco il paese per affamare il nemico. Promulgò inoltre una legge il Capitulare de partibus Saxonie, che imponeva la pena capitale per chiunque offendesse la religione cristiana e i suoi sacerdoti, e che, di fatto, apriva la strada alla conversione forzata dei Sassoni.

Carlo applicò quindi i concetti di una guerra totalizzante, con l’obiettivo di utilizzare ogni mezzo, anche quello religioso, per terrorizzare e annientare il nemico. La spietatezza del capitulare fu criticata anche da alcuni ascoltati consiglieri del re Franco, come ad esempio Alcuino. La politica del terrore e della terra bruciata inizialmente portò i suoi avvelenati frutti. Nel 785 lo stesso Witinchindo dovette scendere a patti con i Franchi, facendosi battezzare nel palazzo di Attigny in Francia.

La spietatezza di questa politica però nel 793 provocò una nuova ribellione nelle regioni più settentrionali della Sassonia dove la cristianizzazione era stato un fatto meramente formale e non sentito. Dopo aver bruciato le chiese e massacrato i missionari, i Sassoni si prepararono a resistere nel folto delle loro foreste. La risposta di Carlo fu ancora più dura, non si limitò a sconfiggere i Sassoni ma iniziò a deportare le popolazioni, sostituendole con coloni franchi o slavi.

Non essendo un re ottuso, contestualmente Carlo cercò di instaurare un nuovo rapporto con l’aristocrazia sassone che formalizzò nel corso di una grande Assemblea ad Aquisgrana nel 797. Questa nuova politica produsse i suoi frutti e iniziò un lento processo di integrazione dei Sassoni nell’impero carolingio. Simbolo di questo processo di integrazione fu la costruzione di una nuova città, Padeborn, nel cuore della Sassonia, eretta sopra delle paludi bonificate e dove l’imperatore risiedeva quando le operazioni belliche per stroncare delle ribellioni esigevano la sua presenza.

Il processo di integrazione marciò quindi speditamente tanto che la leva dell’esercito imperiale iniziò a comprendere anche numerose formazioni sassoni che furono prevalentemente utilizzate ad est, contro le tribù slave.

Terminava così un’eroica e alla fine perdente, ventennale lotta per l’indipendenza dei Sassoni schiacciata dall’abilità e dalla spietatezza di Carlo.

Fonti:

Carlo Magno di A. Barbero

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