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Charlie Kaufman – Parte prima: cinema e identità

Da qualche mese è stata finalmente messa in commercio la traduzione italiana del romanzo Antkind (2020) di Charlie Kaufman, autore conosciuto in particolare per i suoi lavori da sceneggiatore (Se mi lasci ti cancello, Essere John Malkovich). È quindi un’ottima occasione per dedicare una serie di articoli a questa geniale figura.

Cinema e memoria

Il cinema e la memoria hanno molto in comune, a partire dall’estetica che li contraddistingue. Solitamente i ricordi si imprimono nella mente sotto forma di serie di immagini in movimento e, almeno personalmente, accompagnate dalla musica. Ma soprattutto, il vissuto è presente nella memoria solo attraverso pochissimi e selezionati istanti. Allo stesso modo, un film è una selezione di riprese e di immagini rappresentative. Tutto ciò che si trova in mezzo (sia in termini di spazio che di tempo) è semplicemente un vuoto.

Vuoti da riempire

In Antkind, Kaufman scrive che “in un film quello che non si vede non è meno importante di quello che si vede”. L’illusione (perché di illusione si tratta) di una continuità narrativa tra una sequenza e l’altra esiste solo nella nostra testa, non è intrinseca ai film. Gli spazi vuoti non piacciono alla mente, che quindi va a riempirli nel corso dei processi interpretativi applicando logiche di causa-effetto.

Questo meccanismo è ben noto ai cineasti: per citare un esempio su tutti, è oggetto delle autoriflessioni cinematografiche in La finestra sul cortile (1954) di Hitchcock. Il protagonista Jeff, bloccato in casa a causa di un incidente, comincia ad osservare le vite dei vicini attraverso la sua finestra. Di queste Jeff può conoscerne solo alcuni frammenti, i quali vengono poi riuniti in una personale narrazione logica e lineare, che lo porta a sviluppare il sospetto di un avvenuto omicidio.

Memoria e identità

Questo processo di unificazione concerne anche la costruzione della propria identità, in cui la selezione di certi ricordi e il relativo inserimento in una struttura narrativa gioca un ruolo non irrilevante. Per cui, in fin dei conti, cinema e identità possono essere paragonati a dei mosaici, i cui pezzi vengono tenuti assieme rispettivamente dallo spettatore e da colui che ricorda.

Cinema e vita reale

Charlie Kaufman

Una delle ossessioni di Kaufman è quella di realizzare un’opera che imiti il caos della vita reale, e che dunque si liberi delle logiche di causa-effetto, talmente radicate nel pensiero umano che vengono individuate anche laddove sono assenti.

Nel già menzionato Antkind, il critico cinematografico B. si trova confrontato con un film della durata di tre mesi. Nel corso della visione, B. comincia a perdere la facoltà di distinguere ciò che ha vissuto realmente e ciò che ha esperito attraverso la pellicola: ricordi di vita reale e ricordi del film diventano la stessa cosa.

Mentre in Synecdoche, New York (2008) il regista teatrale Caden Cotard si perde (letteralmente) nella realizzazione del suo nuovo spettacolo. Pian piano, la vita del protagonista e lo sviluppo della rappresentazione teatrale si sovrappongono.

E infine, in Adaptation (2002) il protagonista è in difficoltà con la scrittura della trasposizione filmica di un libro. Egli decide quindi di interromperla e scrivere una seconda sceneggiatura sulle sue difficoltà a realizzare la prima.

Nel prossimo articolo, parlando dei significati del processo scrittorio secondo Kaufman, si cercheranno di illustrare le ragioni che si nascondono dietro a questo fil rouge delle sue opere.

Fonti:

Liptay Fabienne, Leerstellen im Film. Zum Wechselspiel von Bild und Einbildung.

The Cinema Cartography, Charlie Kaufman – Writing with honesty.

Per saperne di più:

Charlie Kaufman

Didier Bernasconi

Laureando in letteratura e linguistica italiana e interessato alla cultura a tutto campo. Apprezzo la scrittura chiara, lineare e sintetica: faccio del mio meglio per realizzarla. Scrivere è condivisione.

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