Dino Buzzati Traverso nacque a Belluno nel 1906. Questa sua origine, ai piedi delle Alpi, lasciò in lui una traccia profonda ed un’insistente suggestione fiabesca, destinate a comparire poi nelle sue opere più genuine e profonde. Ma anche il successivo trasferimento a Milano, coi nuovi aspetti della vita cittadina e col senso del faticoso operare dell’uomo e dell’incalzare del destino, contribuì a determinare altri temi della narrativa di Dino Buzzati.
Laureato in Legge, non esercitò alcuna professione attinente a quel genere di laurea; iniziò invece subito la carriera giornalistica presso il “Corriere della Sera“, con cui lavorò in seguito per tutta la vita. Fu, fra l’altro, inviato speciale in Africa, in India e in Giappone; e questi viaggi, offrendo la visione di paesaggi diversi e immensi, nuove esperienze di vita, ma sempre anche la constatazione che ovunque ci sono motivi di sofferenza, mali e colpe degli uomini, portarono anch’essi un contributo notevole allo sviluppo della personalità composita dello scrittore.
Dino Buzzati, nel 1933, pubblicò il primo romanzo “Bàrnabo delle montagne” al quale, negli anni immediatamente successivi, seguirono altri romanzi anch’essi ispirati a temi di dolore e di mistero, d’inquietudine e di solitudine esistenziale. Del 1935 è il romanzo “Il segreto del bosco Vecchio” nel quale Dino Buzzati riprende i toni essenziali del romanzo precedente sviluppando però, in una prospettiva di splendida fiaba, il motivo dell’esaltazione della buona azione e quello della magia della natura alpina.
Successivamente la narrativa di Dino Buzzati per circa un ventennio – dal 1940 al 1960 – si rivolse soltanto al racconto con una produzione piuttosto vasta; fra le varie raccolte i “Sessanta racconti” (1958) furono premiati con il Premio Strega. Tra la narrativa e la saggistica oscilla l’opera “In quel preciso momento” (1950), interessante raccolta di pensieri morali, memorie, spunti politici, racconti brevi.
Al romanzo Dino Buzzati tornò al romanzo nel 1960 con “Il grande ritratto” seguito dopo da “Un amore” (1963). Dino Buzzati scrisse anche una raccolta di liriche e una decina di drammi, né va dimenticata la sua attività di pittore, né quella di disegnatore, come nel “Poema a fumetti” (1970). Morì nel 1972.
Una menzione a parte merita il romanzo “Il deserto dei Tartari” del 1940 in quanto è il romanzo più conosciuto e più famoso a livello internazionale di questo scrittore. Molto è stato scritto e detto su “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, ne è stato tratto anche un film, nel 1976, diretto dal regista Valerio Zurlini e interpretato da attori del calibro di Vittorio Gassman e Giuliano Gemma e di altri grandi del cinema internazionale. In questo romanzo, bellissimo, inquietante e quasi enigmatico, si concentra l’attenzione psicologica ai personaggi e la sublime forza allusiva del paesaggio il quale sembra quasi assurgere a protagonista principale in quanto agisce sulla psiche e sull’azione degli uomini.
Il significato allegorico e il valore morale del romanzo “Il deserto dei Tartari” sembra essere evidente in tutta la vicenda dal principio fino alla fine: la vita dell’uomo è una lunga, snervante attesa di un qualcosa di magico che poi sfuggirà dalle mani; la vita è solitudine esistenziale, è ripiegamento angoscioso, è succedersi di spettri irreali, di miraggi inafferrabili.
Ma l’isolamento, come la stessa infelicità, è ciò che più affina l’interiorità dell’uomo e lo eleva sulla soglia di un affascinante mistero. Fascino e mistero appunto, ma tuttavia anche l’incommensurabilità dell’assoluto coinvolgono e permeano Dino Buzzati nella realizzazione di questo grande romanzo, che non finisce mai di attrarre e di portare sempre nuovi lettori all’interno del suo vortice di possente attrazione che indica silenziosamente l’esistenza inafferrabile dell’assoluto.
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