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Don Gamucci

I ricordi sono riaffiorati leggendo “La forza del destino” di Marco Vichi, romanzo della serie dedicata al Commissario Bordelli ed ambientata nella Firenze degli Anni Sessanta. Ad un certo punto il protagonista si reca nella parrocchia di San Niccolò per incontrare Don Baldesi.

Questo sacerdote non è altri che Giampiero Gamucci già allora parroco di San Niccolò e tutt’ora alla veneranda età di 93 anni, presenza e memoria ancora lucida di un quartiere e di una città.

Conobbi Don Gamucci intorno alla metà degli anni Settanta, io ero studente di ragioneria all’Istituto tecnico Galileo Galilei, lui il mio insegnante di religione.

Mi ero da poco liberato dell’imprinting cattolico “familiare” ed il mio ateismo era ancora nella fase furente, passionale tipica di chi da poco è sfuggito ad una gabbia di convenzioni e detestavo in modo quasi viscerale il clero in tutte le sue articolazioni.

Ricordo ancora la prima lezione di Don Gamucci e la sua presenza “scenica” in classe. Era un uomo dal volto leggermente squadrato, con la fronte ampia e stempiata ed i capelli pettinati all’indietro, non molto alto, irriverente, mordace come tutti i fiorentini, non convenzionale. Non stava fermo un minuto, sempre in piedi, catturava l’attenzione con monologhi e talvolta dialoghi che, apparentemente niente avevano a che vedere con la religione.

Le sue non erano lezioni ma vere e proprie performance teatrali e dopo qualche minuto il brusio si spegneva e la soglia di attenzione cresceva, interrotta solo dalle risate per le battute più’ salaci e caustiche.

Con Don Gamucci si parlava di guerra, sesso, aborto, divorzio sempre senza chiusure dogmatiche, ed anche quando le idee divergevano, ed almeno per me capitava spesso, non c’era mai quel senso di lontananza e di estraneità che mi era capitato di provare con altri sacerdoti.

Ovviamente ci raccontava dell’alluvione, erano passati appena sette od otto anni ed i ricordi erano ancora vivissimi e nei suoi racconti istrionici, a volte corrosivi, quasi sempre esilaranti riemergeva il prete che si faceva dare dai costruttori Pontello un caterpillar con il quale ripuliva il fango dalle strade del suo quartiere. Il “generale Von Ruspen” cosi venne battezzato dai suoi parrocchiani di cui rifletteva lo spirito popolano, verace, semplice ma mai superficiale.

Era stridente il contrasto con l’altro insegnante di religione dell’istituto, credo, se la memoria non mi tradisce, si chiamasse Don Mario. Don Mario ero un omone grosso, con una pancia prominente, sempre in tonaca, con lo sguardo smarrito che prima di aprire la porta delle classi dove insegnava, si fermava assumendo l’espressione dell’agnello sacrificale.

Avevamo la sfortuna di essere accanto ad una delle classi dove insegnava. L’arrivo di Don Mario era scandito da 55 minuti (quanto durava l’ora di lezione) di bolgia dantesca, fatta di urla, risate, banchi smossi, invocazioni sempre più fievoli del poveruomo.

Che differenza con gli “show” di Don Gamucci e le sue lezioni-spettacolo che forse avevano poco a che fare con la religione in senso classico, ma molto con la vita.

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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  • Ho visto celebrare delle Messe da Don Gamucci e sono stato colpito dalla sua capacità espressiva. Ho una profonda ammirazione per lui. A prescindere se si creda o meno, sicuramente l'uomo fa la sua parte e sa trasmettere concetti importanti e profondi. Uno ad esempio mi è rimasto impresso. Quando al termine di una celebrazione, a fronte di resoconti su fatti di violenza ha affermato: "La violenza non potrà mai cessare di esistere. Ma è squalificata".

  • Sono una parrocchiani di S. Niccolò, tenuta a battesimo, comunione e cresima da Don Gamucci. La mia famiglia abita in S. Niccolò da generazioni (sicuramente dalla fine del '700) e ho sentito ogni genere di racconti su Don Gamucci, che, alle soglie dei 100 anni è ancora al suo posto e continua a celebrare le sue messe sopra le righe. Non potrò mai dimenticare i suoi Adeste fideles cantati al microfono, il suo amore per il teatro, per la montagna, il suo essere l'anima del quartiere. È testimone di qualcosa che spero non possa morire con lui, anche se ormai S. Niccolò non e più quello di un tempo e noi che ci viviamo da tempo, a volte, sentiamo a riconoscerlo

    • Cara Silvia, sono convinto (da ateo) che se la Chiesa avesse più preti come l'inossidabile Don Gamucci ci sarebbero più fedeli e le parrocchie svolgerebbero ancora, in modo più moderno ovviamente, una funzione sociale (oltre che religiosa) significativa e importante. Purtroppo il tempo passa inesorabile e anche un quartiere come San Niccolò, come dici tu, non è più quello di un tempo. Le ragioni sono molte e complesse, tanto da non poter essere affrontate in questa breve risposta. Grazie per la tua attenzione al blog.

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