giovedì, Settembre 19

Essere un fossile

Il destino di ogni creatura vivente è lineare e ineluttabile: nascere, vivere e morire, per poi decomporsi fino a scomparire del tutto. Questo processo riguarda il 99,9% delle specie viventi conosciute. Non è quindi né facile né scontato diventare un fossile. Con questo termine, introdotto per la prima volta dallo scienziato tedesco Gregorio Agricola, si indicano i resti integri o parziali di organismi un tempo viventi; più in generale, viene usato per una qualsiasi testimonianza di vita geologicamente passata: animale, ossa, denti, uova, conchiglie; vegetale, quali foglie, tronchi, pollini ed altro ancora.

Anche per quello sparuto gruppo di organismi che costituisce lo 0,1% del totale delle specie viventi conosciute diventare un fossile è tutt’altro che un’impresa facile e scontata. Prima di tutto occorre morire nel luogo giusto, solo il 15% delle rocce può conservare i fossili.

Sono da preferire quei sedimenti dove è possibile lasciare un’impronta di se. Utili per la datazione delle rocce calcaree mesozoiche sono: stromatoliti, ammoniti, bivalvi, gasteropodi, brachiopodi, echinodermi, crinoidi, denti isolati di squalo e microfossili. L’organismo non soltanto deve morire in rocce sedimentarie ma non deve essere esposto all’ossigeno, permettendo così alle molecole presenti nelle ossa e nelle altre parti dure (e molto raramente in quelle molli) di essere sostituite dai minerali dissolti, creando così una copia pietrificata dell’originale.

Il fossile deve inoltre riuscire, nonostante i normali processi geologici che comprendono fenomeni come compressione ed altri eventi naturali a mantenere una forma riconoscibile. Come se non bastasse dopo migliaia, a volte centinaia di migliaia di anni, deve essere scoperto e recuperato correttamente. Se si pensa, che secondo alcune stime., il processo di fossilizzazione riguarda soltanto un osso su un miliardo si comprende facilmente come non sia affatto scontato portare alla luce queste preziose testimonianze della vita passata.

Per avere un’idea di cosa questo significhi, l’attuale popolazione degli Stati Uniti, circa 330 milioni di abitanti, lascerebbe ai posteri una sessantina o poco più di ossa fossili, corrispondenti a circa un quarto dello scheletro di una singola persona! Pochissime sono le specie viventi che hanno lasciato un’impronta fossile della propria esistenza sul nostro pianeta, si stima che meno di una specie su diecimila abbia lasciato testimonianze fossili.

Una volta che un colpo di fortuna arride i ricercatori e questi vengano in possesso di alcuni fossili si presenta il problema di datarli correttamente. Il criterio di datazione dei fossili si basa sulla stratigrafia, la quale afferma che, normalmente, gli strati più bassi del terreno sono più antichi di quelli superiori. Utilizzando tale criterio si può confrontare un certo fossile con altri rinvenuti in strati di altre località per vedere se appartengono allo stesso tempo oppure no.

Con i metodi degli isotopi radioattivi e del carbonio 14 si può avere la datazione radiometrica, che misura l’età della roccia in anni, ma che risulta meno preciso del metodo della datazione relativa. Attualmente la datazione si basa principalmente su due metodi cronologici, che hanno fornito dati molto attendibili: datazione assoluta e datazione relativa. Quest’ultima  è la disciplina che permette di determinare l’ordine relativo di svolgimento di alcuni eventi avvenuti nel passato, senza necessariamente determinare la loro età assoluta, compito riservato alla datazione assoluta.

La stragrande maggioranza degli animali non sceglie il luogo dove morire ma si accascia sul posto e predatori necrofagi e il normale processo di decomposizione disgregano il corpo fino al punto di farlo letteralmente svanire. Non deve stupire pertanto che il 95% dei fossili di cui siamo in possesso, appartengono ad animali che un tempo vivevano sott’acqua, soprattutto in acque relativamente basse.

Un’ultima notazione spetta a quello che gli scienziati definiscono “fossili viventi”. Si tratta di organismi che sono gli unici rappresentanti viventi di gruppi estinti da tempo oppure che mantengono caratteri primitivi del gruppo che si è invece altamente differenziato o ancora che rimangono immutati per un lungo intervallo di tempo. Questa definizione coniata da Darwin non riguarda soltanto il mondo animale, anche i vegetali hanno i loro fossili viventi, come il genere Ginkgo (Gimnosperma), comparso nel Giurassico e arrivato ai giorni nostri con l’unica specie Ginkgo biloba senza modificazioni sostanziali.

Foto di photosforyou da Pixabay

Foto di 2211438 da Pixabay

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Storia di quasi tutto di B. Bryson

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