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Giugno 1940: gli ultimi giorni di pace

Il mese di giugno del 1940 si apre con un’aspettativa di guerra che monta nel paese, rinfocolata ad arte, dalla propaganda fascista. Pertanto quando decine di migliaia di persone, lunedi 10 giugno, in un caldo pomeriggio di tarda primavera (ci sono 26° di temperatura), si dirigono verso Piazza Venezia, richiamati dall’annuncio che alle 18, il Duce del Fascismo, Benito Mussolini farà un importante comunicazione, non ci sono molti dubbi al riguardo su cosa dirà il dittatore.

Uomini con gli immancabili cappelli, donne con i vestiti leggeri dell’imminente estate, soldati, rumorose ed euforiche Camice Nere, questo fiume in piena, si ammassa verso Piazza Venezia e via del Plebiscito, riempiendo anche le strade adiacenti. Poco prima il Ministro degli Esteri, conte Ciano ha convocato gli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna, consegnandogli la dichiarazione di guerra.

Mussolini alle 18 in punto si presenta sul fatidico balcone, veste la divisa di caporale d’onore della milizia e la sua corporatura massiccia si staglia dietro due microfoni. La mascella protesa verso la folla, le mani poggiate provocatoriamente sui fianchi, con la sua voce metallica ed alternando delle pause ad effetto, scandisce:

«Combattenti di terra, di mare e dell’aria, Camicie Nere della Rivoluzione e delle Legioni, uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania, ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia». L’urlo della folla è lungo e scandito dall’invocazione del nome del Duce. Mussolini conclude con una frase tragica nella sua insensatezza: “La parola d’ordine è una sola…vincere…e vinceremo”.

La folla applaude. Il Duce rientra all’interno e poi, come un attore richiamato dagli applausi, esce di nuovo con un sorriso compiaciuto sul balcone che domina Piazza Venezia. La folla inizia a disperdersi. Il clima che si respira nel paese è quasi equamente diviso tra gli entusiasti per la svolta bellica del regime ed i rassegnati. L’opposizione duramente liquidata dal fascismo praticamente non esiste.

L’uomo della strada certamente non si aspetta il disastro militare, economico, morale e civile che per cinque anni avvolgerà il paese, fino ai giorni della Liberazione. Gli ultimi giorni di pace di quell’anno e i primi di guerra vedono le persone ancora immerse in una “normalità” di vita che sta per essere travolta.

L’Ambrosiana Inter ha appena vinto il Campionato di calcio di Serie A dopo un entusiasmante duello con il Bologna. Sui giornali si fa largo la foto di un ragazzo segaligno: è il ventenne Fausto Coppi, uno sconosciuto che ha vinto all’Arena il Giro d’Italia dopo avere fatto fino a pochi giorni prima il fattorino per un fornaio e che fra qualche settimana partirà soldato.

Sulla neve trionfava Lacedelli, mentre nelle corse automobilistiche impazzava il mito di Nuvolari. I cinema sono affollati e gli italiani apprezzano in particolare le storie romantiche e i film dove la retorica dell’ardimento e del feuilleton si impongono grazie alla recitazione dei divi del momento Amedeo Nazzari, Fosco Giachetti, Assia Noris, Doris Duranti, Luisa Ferida e la giovanissima Alida Valli.

Tra le pellicole di quell’anno così cruciale ricordiamo, senza pretese di esaustività, “Una romantica avventura” di Mario Camerini, “La peccatrice” di Amleto Palermi, “L’assedio di Alcazar” di Augusto Genina, “Addio, giovinezza” di Ferdinando M. Poggioli, “San Giovanni Decollato” con Totò e “Il ponte dei sospiri” di Mario Bonnard.

La radio era la colonna sonora degli italiani ma anche il principale strumento di propaganda del regime. Nel 1939 la Radiomarelli aveva presentato il più piccolo ricevitore di produzione italiana: il Balilla. Solo 2 chili di peso, economico e funzionale si conquista un vasto mercato come ricevitore domestico. Dopo l’entrata in guerra, il 10 giugno 1940, la radio si mobilita, tutta la programmazione viene utilizzata per far passare le parole d’ordine del regime. Gli abbonati in tutta Italia sono circa 1 milione.

La musica in voga è quella della “scuderia” del mastro Cinico Angiolini o di cantanti emergenti come Alberto Rabagliati. Anche la musica asseconda il regime nella sua retorica guerresca e di quell’anno è la canzone “Vincere” di Arconi e Zambrelli, che per quanto proposta massicciamente nella radio di regime non scalderà particolarmente il cuore degli italiani.

In questi ultimi sprazzi di normalità gli italiani sono già alle prese con le carte annonarie, con il rebus del bucato da fare con soli 200 grammi di sapone al mese o con inventare nuovi surrogati del caffè da addolcire con il mezzo chilo di zucchero al mese che passava il convento.

Già prima della dichiarazione di guerra vengono impartite precise istruzioni per l’oscuramento e gli allarmi aerei. Quest’ultimi in caso di minaccia aerea saranno contraddistinti da sei ululati da 15 secondi per l’allarme e otto da 2 secondi per il cessato allarme. L’oscuramento doveva essere totale.

Veniva consigliato a tutti di munirsi di un distintivo fosforescente (costava cinquanta centesimi) o di lampadine tascabili schermate per poter camminare in sicurezza dopo l’imbrunire. Il 9 giugno gli operai richiamati alle armi apprendevano con sgomento che non avrebbero avuto alcuna garanzia di ritrovare il posto di lavoro nel momento del congedo. Secondo il governo fascista il richiamo alle armi equivaleva alla rottura di contratto per motivi eccezionali, ai richiamati-licenziati spettava una liquidazione pari a sei giorni di paga se la loro anzianità era inferiore a tre anni e a quattordici giorni di paga se era superiore. Solo gli impiegati godevano di un trattamento migliore.

Paradossalmente la prima azione militare dopo la dichiarazione di guerra di Palazzo Venezia fu un bombardamento di aerei inglesi su Torino il 12 giugno che provocò 14 morti e 39 feriti. Il giorno dopo navi francesi cannoneggiavano varie città della Liguria provocando una mezza dozzina di morti mentre un aereo francese sorvolava Roma e lanciava dei manifestini il cui testo, riportato dai giornali, diceva: «Il Duce ha voluto la guerra? Eccola. La Francia non ha niente contro di voi. Fermatevi. Vittoriosi o vinti avrete la fame, la miseria, la schiavitù».

Venerdi 14 giugno si registrava il primo caduto italiano di quel drammatico conflitto che causerà 300.000 vittime tra i soldati, il carrista Carlo Malinverni, 20 anni, morto sul fronte delle Alpi.

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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