“Vinca cuciva, orlando con un festone rosa un vestito di crespo dello stesso azzurro dei suoi occhi. I capelli biondi, tagliati alla Giovanna d’Arco, le si allungavano lentamente. A volte li divideva sulla nuca, legando con nastri azzurri due corti codini color grano, lungo le gote. Dopo colazione aveva perso uno dei nastri, e metà della chioma le batteva, come un vento spiegato, metà del volto. (…) Philip splendeva di insofferenza e di una specie di tradizionale disperazione. La fretta di invecchiare, il disprezzo di un tempo in cui corpo e anima fioriscono, mutava in eroe romantico quel figlio di un piccolo industriale parigino. Cadde seduto ai piedi di Vinca e continuò a lamentarsi“.
Gli anni “fieri e sgraziati” dell’impazienza, i primi impulsi d’amore, l’insofferenza verso i genitori e la famiglia (“i lari antichi e modesti”), il bisogno di comprensione e lo scontroso ripudio del dialogo, la fretta di diventare adulti, di invecchiare e l’incapacità di fluire dei doni di una condizione irripetibile di spontaneità e di fresca, vivace e riflessiva sensibilità.
Questi i temi perenni dell’adolescenza e della giovinezza, questo il tema affrontato da Sidonie – Gabrielle Colette (1873 – 1954) nel suo romanzo forse più conosciuto e più apprezzato “Il grano in erba” (il brano riportato all’inizio è tratto da questo romanzo) che, con le altre sue numerose opere, caratterizzate da una capacità di osservazione molto acuta e psicologicamente efficace e da uno stile semplice quanto di indubbia armonia, la consacrò come la scrittrice francese più letta, più famosa e più tipica del Novecento.
Ne “Il grano in erba” si rincorrono e si ritrovano caratteri opposti e complementari nei quali si incarnano le inquietudini, i sogni, la gentilezza e l’impulsività pertinenti agli adolescenti in attesa della loro giornata colma e vibrante, simili agli adolescenti di tutti i tempi nella semplicità e, allo stesso tempo, nella complessità dei loro problemi.
Da sempre l’adolescenza è un’età meravigliosa eppure terribile, straordinaria eppure di una complessità quasi rigorosa e geometrica. “Gli adolescenti hanno il fuoco dentro, la grazia delle farfalle e la tristezza dell’inverno” era solita dire Colette nell’accingersi a scrivere “Il grano in erba“.
Come il grano in erba, che ha bisogno di tempo, di sole, di pioggia, di vento, di libertà per maturare, così il ragazzo o la ragazza necessitano di un loro tempo, di un loro background e di una percezione tutta loro e particolare per crescere fisicamente, ma soprattutto per maturare interiormente per poter affrontare la vita con tutti i suoi pericoli, le sue ansie, le sue difficoltà, le sue contraddizioni. Altrimenti il grano marcisce prima ancora di metter su una splendida spiga dorata che darà frutto e l’adolescente sarà condannato ad un’esistenza di reietto e di incapace in una società crudele e cruda che non comprende mai appieno.
Colette non poteva trovare metafora migliore di questa per il suo romanzo, cioè della crescita del grano e di quella dell’adolescente. Leggere “Il grano in erba” di Colette è di sicuro, anche oggi, uno stimolo serio, genuino e fecondo per l’adulto e per l’adolescente; una marcia in più per capire, per conoscere e per tentare di aiutare chi ha difficoltà a gestire il ruolo che la vita, nel bene come nel male, ha assegnato a ciascuno di noi.
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