giovedì, Settembre 19

Gli eroi dimenticati: a quali disturbi psichici possono incorrere i sanitari in prima linea nella lotta al Covid19

Lo tsunami coronavirus che ha travolto il centro nord Italia tra marzo ed aprile ha portato i sistemi sanitari regionali sull’orlo del collasso. Gli operatori delle terapie intensive, in particolare, medici ed infermieri, hanno dovuto fronteggiare un vero e proprio trauma mentre si confrontavano con un virus sconosciuto, un numero di pazienti mai visto prima, il rischio di infettarsi e morire come è avvenuto per 167 medici ed una cinquantina di infermieri.

Medici, infermieri, ma anche personale delle RSA, addetti alle pulizie ed alla sanificazione hanno lavorato in condizioni di stress eccezionali. In quei due mesi di fuoco nessuno si è preoccupato della salute psichica della nostra “prima linea” contro Covid19.

Uno studio effettuato ad inizio febbraio su 1257 operatori sanitari cinesi (39% medici, 61% infermieri il 42% dei quali coinvolto direttamente nella cura dei pazienti Covid19) e pubblicato su “Jama Network Open” ha rilevato tassi elevati di depressione (50%), ansia (45%), insonnia (34%) e stress (72%). Soltanto tra il 10 e il 20% ha però mostrato sintomi gravi al punto da poter sfociare nella sindrome post traumatica da stress.

Individuare questa quota di personale sanitario che potrebbe soffrire di una sindrome altamente pericolosa, anche per la peculiarità della professione che esercitano, è un imperativo adesso che la situazione più acuta dell’emergenza si sta risolvendo. Un’attenzione particolare va rivolta anche a quelle categorie come gli operatori socio-sanitari e gli addetti alle pulizie ed alla sanificazione, inizialmente dimenticate, che pure hanno operato in contesti altamente stressanti, assistendo anche ad un numero di morti concentrato in un lasso di tempo relativamente breve senza precedenti.

Per tutti gli operatori e per i medici in particolare poi l’infodemia dilagante in questo periodo ha acuito le condizioni traumatiche nelle quali hanno dovuto operare. La mancanza da parte delle istituzioni preposte di informazioni chiare, univoche, tempestive ed attendibili per la terapia e la soluzione di problemi etici, giuridici e decisionali è stata stigmatizzata da una nota dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Nel nostro paese è in atto una ricerca ETHICOVID19 intesa a valutare il danno morale sofferto dai medici legato all’incertezza nella prescrizione di farmaci contro l’infezione in assenza di dati certi sulla loro efficacia. I risultati così ottenuti saranno incrociati con quelli ottenuti somministrando questionari di misurazione dei livelli di ansia e stress. L’obiettivo della ricerca sarà quello di fornire alle autorità sanitarie elementi utili per predisporre training specifici ad evitare che gli operatori sanitari siano afflitti da sensi di colpa per le scelte effettuate in una situazione di assoluta emergenza.

Un altro elemento che ha pesato in modo determinante sulla salute psichica di medici ed infermieri in prima linea nella lotta a Covid19 è l’isolamento sociale prodotto dalla necessità, per molti di loro, di isolarsi dai propri cari e/o addirittura abbandonare la propria residenza per non incorrere nel rischio di infettare i propri cari.

Solitudine ed in qualche caso stigma sociale sono stati i corollari di queste difficili decisioni. In questo senso l’apprezzamento ed il sostegno sociale che nei giorni più bui dell’emergenza si è riversato su medici ed infermieri sono stati preziosi per puntellare anche emotivamente il ruolo degli operatori sanitari. D’altra parte un personale sanitario in condizione di forte stress ed ansia non è soltanto un problema umano ma un fattore di rischio sanitario per l’aumentata incidenza di possibili errori di valutazione.

Il piano pandemico per altro non prevedeva un capitolo apposito legato al contrasto delle condizioni di stress e di trauma psichico nei quali gli operatori sanitari potevano incorrere e questo ha comportato una surroga piuttosto generica da parte dell’Istituto Superiore della Sanità in collaborazione con la Società Italiana di psicologia dell’emergenza. La categoria più a rischio però stando ad una indagine dell’Università di Roma Tor Vergata pubblicata il 22 aprile scorso è quella dei medici territoriali.

Quasi il 50% dei rispondenti ha riportato sintomi riferibili alla sindrome post traumatica da stress, il 25% depressione grave, il 20% ansia, l’8% insonnia ed il 22% stress.

Il rischio che si corre adesso che la fase acuta dell’epidemia sembra alle spalle è quella di non far tesoro delle esperienze e delle sofferenze di medici, infermieri, operatori sociosanitari, che rischiano di passare non soltanto nell’immaginario collettivo ma anche nella dovuta attenzione delle autorità politiche e sanitarie, da “eroi” a “dimenticati”.

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