domenica, Settembre 8

Gli zombies nel cinema horror

Da ormai molti anni i film con protagonisti i “morti viventi” sono diventati una vero e proprio sotto genere del cinema horror. Questi esseri dall’aspetto abulico e dondolante, che si cibano della carne dei viventi però hanno subito una radicale evoluzione da quando per la prima volta sono apparsi sul grande schermo. Gli zombies di oggi nel cinema horror sono altra cosa rispetto al loro esordio avvenuto quasi un secolo fa.

La prima volta degli zombi

Questa archetipo del cinema horror esordisce per la prima volta nel 1932 con la pellicola “White Zombie” (in italiano L’isola degli zombies) per la regia di Victor Halperin. La storia è ambientata nell’isola di Haiti, nel XIX secolo: per impedire il matrimonio di Neil e Madeleine, il geloso Beaumont (ricco signore di stanza ad Haiti), chiede aiuto a Legendre, che ha appreso le pratiche magiche dell’isola caraibica, grazie alle quali guida un gruppo di zombie fatti lavorare come schiavi nelle proprie piantagioni di zucchero.

Madeleine viene apparentemente fatta morire e poi trasformata in una creatura fredda ed inerte, del tutto priva di quella vitalità che aveva fatto innamorare Beaumont. Questi prova quindi a ribellarsi a Legendre, ma senza fortuna: spetterà a Neil sconfiggere il malefico negromante e i suoi mostruosi aiutanti.

Una figura esotica

Lo zombi di Halperin ha poco a che vedere con il morto vivente a cui siamo abituati. Le sue radici si annidano nei riti vudù, quando un boko, sacerdote vudù dedito a pratiche di magia nera, attraverso riti esoterici richiama in vita il cadavere di una persona.

Questo non morto diviene uno schiavo del boko che se ne serve per lavori infimi o addirittura malvagi. Lo zombi di Halperin è una figura magica che opera in una terra esotica e lontana, non ha niente di disturbante per lo spettatore che ne segue le vicende rassicurato che si tratta di qualcosa che non lo riguarda, né lui, in quanto individuo, né la società nella quale vive.

La rivoluzione romeriana

Tutto cambia con “Night of living dead” (La notte dei morti viventi) il film che George A. Romero consegna alle sale cinematografiche nel 1968. Con questa pellicola Romero rimescola e cambia per sempre l’immaginario collettivo degli zombies. La storia segue i personaggi Ben (Duane Jones) e Barbra Huss (Judith O’Dea), insieme ad altre cinque persone, intrappolate nella casa colonica di un cimitero della Pennsylvania che pullula di “morti viventi”.

Lo zombi di Romero non è più confinato ad una remota e sconosciuta isola caraibica, infesta le strade e le città dell’America più profonda. Non solo, non è una creatura solitaria riportata in vita da uno sciamano vudù, ma fa parte di una moltitudine di morti viventi, che rivestono una dimensione globalizzante, pandemica, inarrestabile.

Ben presto la critica cinematografica attribuirà ai film di Romero significati che trascendono una semplice storia horror.

Lo zombi “politico” di Romero

Sul primo film di Romero sono fioccate numerose interpretazioni. Alcuni ritengono che la pellicola sia una metafora della guerra fredda, in cui gli zombi rappresenterebbero i sovietici, altri invece che sia una metafora della guerra del Vietnam; inoltre secondo alcuni critici il film tratterebbe tematiche quali la libera circolazione di armi negli Stati Uniti con tutte le drammatiche conseguenze che questo comporta.

In realtà l’interpretazione più autentica e sostanziata anche dalla  morte tragica e ingiusta di Ben alla fine del film, per mano di un gruppo di cacciatori bianchi che lo scambiano per un morto vivente è la critica feroce all’intolleranza razziale che pervadeva (e in misura minore) pervade ancora gli Stati Uniti. I sopravvissuti barricati nella colonica si accorgeranno presto, a loro spese, che il pericolo più insidioso e mortale, proviene dalle loro fila, piuttosto che dagli zombies che li assediano.

Con il successivo “Down of dead” (Zombi) del 1978, Romero critica apertamente il consumismo che sta travolgendo la società americana, corrodendone i valori e omogeneizzando lo stile di vita di milioni di persone. Entrambi i primi due film di Romero diverranno dei veri e propri cult del cinema horror, ispirando molte altre pellicole di questo sottogenere.

The Walking Dead, l’ultima rivoluzione

Se gli zombies nei film di Romero e in molte altre pellicole che seguiranno sono il focus di quello che il regista vuole affermare e sono questi cadaveri famelici e ciondolanti a farsi carico delle simbologie che catalizzano lo stigma del razzismo piuttosto che dello sfrenato consumismo occidentale, Robert Kirkman fa compiere un ulteriore step al genere.

Nella serie The Walking Dead, basata sull’omonima serie a fumetti, Kirkman sposta i riflettori dai morti viventi agli uomini. Ridisegna l’apocalisse zombi allo scopo di dimostrare l’impossibilità dell’uomo di gestire e mantenere a lungo il “controllo” su sistemi complessi.

Lo sbriciolamento della civiltà fa emergere non soltanto le contraddizioni dei sopravvissuti che anelano al ritorno di una “normalità” perduta per sempre ma rivela come quello che si riteneva una “gestione” controllata di quel sistema complesso che etichettiamo con il termine civiltà non era altro che un precario punto di equilibrio e che in realtà, non abbiamo mai detenuto alcun effettivo potere di controllo.

Dopo questa rivoluzionaria serie televisiva di enorme successo commerciale, come del resto il fumetto da cui origina, l’universo zombi ha attraversato l’ennesima, potente rivoluzione dei suoi paradigmi narrativi.

Per saperne di più:

George A. Romero

The Walking Dead, la zombi story più famosa dei comics

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