I collaborazionisti nella seconda guerra mondiale

I nazisti, e in misura minore i fascisti italiani, furono felici di poter sfruttare nei territori occupati i risentimenti di fazioni politiche o minoranze etniche che ritenevano, a torto o ragione, di aver conti da regolare con le strutture politiche e sociali dei governi destituiti dall’occupazione delle forze dell’Asse.

Il collaborazionismo come prassi per gestire i territori occupati

Non si trattava soltanto di applicare il vecchio e collaudato principio del divide et impera ma anche di ridurre i costi e la fatica di amministrare e sfruttare i territori occupati. Le persone che si offrirono di aiutare i nazisti a gestire il potere nei loro paesi occupati vennero definiti con il termine dispregiativo di “collaborazionisti”. Il fenomeno però era più complesso di una semplice adesione per ragioni di tornaconto personale, in alcuni casi l’adesione alla causa dell’occupante fu generata dall’illusione di poter soddisfare antiche aspirazioni.

E’ il caso ad esempio del Belgio, dove alcuni esponenti della comunità fiamminga, ripeterono il tragico errore già commesso nella Grande Guerra, di appoggiare il regime tedesco nella speranza di poter spezzare il monopolio delle classi dominanti di lingua francese e ottenere in un ragionevole futuro l’agognata autonomia.

Furbescamente i tedeschi liberarono i prigionieri di origine fiamminga entro la fine del 1940, mentre quelli di etnia vallone rimasero nei campi di concentramento fino alla fine della guerra. In altri casi l’occupazione tedesca sarà sostenuta da vere e proprie guerre civili, come accadrà in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre e la nascita della Repubblica di Salò.

Le illusorie aspirazioni dei regimi collaborazionisti

E se in Polonia i tedeschi non cercarono collaborazionisti, nei paesi baltici, in Finlandia inizialmente la Wermacht fu accolta con favore da una parte significativa della popolazione come risposta al temuto espansionismo sovietico. Gli ucraini dopo il 1941 fecero di tutto per assicurarsi l’indipendenza, regioni della Galizia orientale e dell’Ucraina occidentale furono dilaniate da una sanguinosa guerra civile combattuta su un fronte da partigiani anti nazisti e sull’altro da partigiani anti sovietici.

Polacchi e ucraini combatterono pro e contro la Wermacht e l’Armata Rossa a seconda del luogo e del tempo di quei quasi sei anni di conflitto. Nei Balcani poi i termini “collaborazionista” e “partigiano” assunsero connotati ambigui e sfumati. Chi era il generale Dragoljub “Draža” Mihailović, il leader serbo dei cetnici, un patriota, un partigiano o un collaborazionista?

Il calderone balcanico

Più semplice, forse, il giudizio storico sul regime ustascia di Ante Pavelić (1889 – 1959) fondatore del movimento fascista e nazionalista degli Ustascia e dittatore con il titolo di Poglavnik (Guida) dell’autoproclamato Stato indipendente di Croazia dal 1941 al 1945. Lo stato fantoccio e fascista di Pavelic si rese responsabile dello sterminio di oltre 200.000 serbi.

Ma i serbi furono perseguitati e colpiti anche dai “partigiani” monarchici di Mihailović e per questo in Bosnia collaborarono attivamente con i tedeschi.

Quisling, il collaborazionista più celebre

Tra gli esempi più eclatanti di collaborazionismo con il nemico non si può non ricordare l’attività di Vidkun Abraham Lauritz Jonssøn Quisling, ufficiale dell’esercito e fondatore nel 1933 del partito nazista norvegese che si mise al servizio di Hitler e delle forze armate tedesche che all’inizio della seconda guerra mondiale avevano occupato la Norvegia. Durante l’invasione capeggiò un governo fantoccio che aveva il compito di tradurre in atto la volontà degli occupanti, diventando il Primo ministro della Norvegia dal febbraio 1942 alla fine della seconda guerra mondiale.

Quisling, il cui stesso nome diventerà sinonimo di collaborazionista, al termine della guerra venne fatto prigioniero dal Fronte patriottico norvegese. Dopo un processo per alto tradimento, fu condannato a morte e giustiziato il 24 ottobre 1945.

Il caso Petain

In Francia una situazione simile a quella norvegese ma con alcune sostanziali differenze fu rappresentata dal governo di Vichy, ufficialmente Stato Francese che sotto la guida del maresciallo Petain, estendeva una debole autorità amministrativa sulla parte meridionale della Francia, ad eccezione di Mentone, occupata dagli italiani e della costa atlantica controllata direttamente dai tedeschi. Ufficialmente indipendente, in realtà era uno Stato satellite del Terzo Reich.

La sorte dei collaborazionisti dopo la fine della guerra

Nell’Europa occidentale all’indomani della fine delle ostilità del secondo conflitto mondiale si impose come priorità nei paesi che erano stati occupati dai tedeschi l’esigenza di fare i conti con i collaborazionisti, ovvero con coloro, che dai massimi livelli istituzionali fino al singolo individuo, avevano fattivamente cooperato con il nemico.

In Francia, Norvegia e in tutto il Benelux le autorità locali, frutto della volontà nazista, non si erano certamente coperte di gloria. Spesso la loro collaborazione con gli occupanti era stata zelante e perfino preventiva rispetto alle aspettative tedesche. 

Nel 1941, in Norvegia i tedeschi furono in grado di governare il paese con soltanto 806 funzionari amministrativi. La Francia con appena 1500 funzionari. I nazisti erano talmente sicuri di poter fare affidamento sulla polizia e la milizia locale francese che le affiancarono soltanto  6.000 uomini per tenere in pugno un paese di 35 milioni di abitanti.

Differenze tra territori occupati occidentali e orientali

Lo stesso avvenne in Olanda. Niente a che vedere con il controllo della Yugoslavia dove l’azione dei partigiani teneva impegnate diverse divisioni tedesche. La differenza principale tra i territori occidentali occupati dai nazisti e quelli orientali consistè nel fatto che francesi, olandesi, belgi, norvegesi, danesi e dopo l’8 settembre 1943 gli italiani furono certamente umiliati, ma a meno di non essere ebrei o comunisti, gli venne concesso di vivere autonomamente, con governi certamente collaborazionisti che però avevano dei margini, anche se minimi, di effettivo potere interno.

I governi di Oslo, Bruxelles e L’Aia costretti all’esilio dopo il 1940 potevano sperare di ritornare in “sella” una volta terminata la guerra con la sconfitta della Germania. Così non sarà invece per i governi dell’Europa orientale che si troveranno di fronte ad una cesura storica, militare e sociale tale da cancellare i precedenti regimi. 

Giustizia e vendetta

Per recuperare la legittimità perduta i governi dell’Europa liberata dovevano fare i conti con i crimini commessi non soltanto dai governanti collaborazionisti ma di quella parte della popolazione che per tornaconto personale o intima convinzione aveva convintamente appoggiato l’occupante nazista.

In alcuni casi si trattava di minoranze religiose, etniche o linguistiche e quindi già disprezzate o temute per altri motivi. La punizione dei collaborazionisti (veri o presunti) iniziò già prima del termine delle ostilità. In Francia furono condannate a morte, prima della fine della guerra, circa 10.000 persone ad opera di bande indipendenti della Resistenza, in particolare dalle Milices Patriotiques.

Un terzo fu ucciso prima dello sbarco in Normandia (6 giugno 1944) e quasi tutti gli altri nei successivi quattro mesi di combattimento in territorio francese. Lo stesso accadde in Italia, soprattutto tra Emilia Romagna e Lombardia dove rappresaglie partigiane ed esecuzioni sommarie provocarono la morte di quasi 15.000 persone prima della fine della guerra.

La sorte delle donne collaborazioniste

La vendetta contro i collaborazionisti non si esauriva nella pena capitale e investiva anche ambiti meno politici e militari. Le donne accusate di avere storie sentimentali o sessuali con il nemico, quello che sarcasticamente i francesi chiamavano “collaborazionismo orizzontale” venivano ricoperte pubblicamente di catrame e piume.

In molti casi, anche in Olanda, denudate e rasate venivano sottoposte al pubblico ludibrio. Molto spesso chi accusava queste donne di favori sessuali o di relazioni sentimentali con i tedeschi erano altre donne che sfogavano così anni di umiliazione e risentimento.

Per saperne di più:

Quisling

Natale Seremia

Appassionato da sempre di storia e scienza. Divoratore seriale di libri e fumetti. Blogger di divulgazione scientifica e storica per diletto. Diversamente giovane. Detesto complottisti e fomentatori di fake news e come diceva il buon Albert: "Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, riguardo l’universo ho ancora dei dubbi."

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