venerdì, Settembre 20

Ibernazione per arrivare su Marte, le risposte arrivano da un medico italiano

Lo studio, che è stato effettuato a Bologna e pubblicato sulla rivista del gruppo Nature, Scientific Reports, ha preso in esame la rete di neuroni che innesca il letargo nei mammiferi.

Matteo Cerri, medico chirurgo e ricercatore in Fisiologia all’Università di Bologna, associato all’Istituto nazionale di Fisica nucleare e all’Istituto italiano di Tecnologia, ha risposto ad alcune domande su questo studio.

Matteo Cerri, spiega anche come questo tipo di studio potrebbe svilupparsi non solo verso l’esplorazione spaziale, ma anche per la cura dei virus e dei tumori.

La scoperta italiana dell’ibernazione per viaggiare nello spazio

L’idea di potersi addormentare guardando il nostro pianeta blu e svegliarsi riposati otto mesi dopo di fronte alle sabbie rosse di Marte, si sa è un ipotesi molto avvincente.

Sarebbe meraviglioso poter effettuare un viaggio così lungo semplicemente dormendo. Ma quali potrebbero essere le ripercussioni di un’ibernazione a livello fisico e mentale?

In natura ci sono moltissimi esempi di animali che vanno in letargo per molti mesi, come nel caso degli orsi, dei ghiri, dei pipistrelli e di molte altre specie, che si risvegliano senza alcun tipo di problema. Ovviamente il meccanismo del letargo in natura è stato perfezionato dall’evoluzione di queste specie, rendendole idonee a questo tipo di vita.

L’ibernazione umana potrebbe seguire lo stesso principio?

A questa domanda risponde Matteo Cerri, che dichiara: “Molte persone in Italia pensano che l’ibernazione sia come un letargo, un fenomeno indotto con dei macchinari che riescono a portare il corpo umano a temperature sotto lo zero. Le nostre ricerche sono rivolte invece ad indurre il corpo ad andare da solo in uno stato di letargo, diminuendo così in maniera graduale il metabolismo e quindi anche i consumi”.

Matteo Cerri, insieme al suo team, ha indotto un ratto a cadere in uno stato di letargo, una specie che non utilizza questa tipologia di sopravvivenza. Con questo studio sarebbe possibile raggiungere un risultato storico, magari rivolgendolo agli astronauti, e alle potenze spaziali come gli USA, la Russia e il Giappone?

La risposta del ricercatore è stata che: “Il ragionamento è che attualmente con le tecnologie che si posseggono ci vogliono 8 mesi per andare su Marte, prossima tappa dell’esplorazione spaziale, e altri 8 per tornare. Marte è molto vicino se si considera che la stella più vicina a noi dopo il Sole, Proxima Centauri, si trova a 4.2 anni luce. Un aspetto importante da valutare è la quantità che occorrerebbe di cibo, di acqua, di ossigeno, e di energia da caricare sull’astronave per tutto questo tempo. Se invece l’equipaggio venisse ibernato, cadendo così in letargo, ad una temperatura corporea che potrebbe andare dai 10 ai 20 gradi, i consumi si ridurrebbero drasticamente, e si avrebbe molto meno peso da trasportare”.

Ma esistono rischi in una pratica simile per la salute degli astronauti?

“Gli aspetti positivi sono che quando si è in letargo, o in uno stato di torpore, non ci si stressa, il corpo non subisce quel decadimento muscolare e osseo che conoscono bene gli astronauti della stazione spaziale internazionale dove si vive in microgravità. Inoltre, in letargo in una capsula è più facile proteggere il corpo dalle radiazioni cosmiche, altro grande problema per chi resterà a lungo in viaggio nello spazio”.

Come si potrebbe innescare il letargo in mammiferi che altrimenti non ci andrebbero, come nel caso dell’uomo?

Siamo riusciti, presso l’università di Bologna ad isolare, per la prima volta, un gruppo di neuroni dell’ipotalamo che si attivano attivati all’avvio del letargo. In questo modo siamo riusciti a confermare l’ipotesi che il torpore è diretto dal sistema nervoso, attraverso la regione cerebrale addetta alla termoregolazione del corpo”.

Si devono utilizzare dei farmaci?

“Per adesso si, nonostante siano delle molecole già usate in altri campi della medicina. Esploreremo altri metodi, come quelli legati ad esempio a campi elettromagnetici”.

Fra i più seguiti alla recente maratona dell’Asi, nel suo intervento ha raccontato di uno scoiattolo da spedire sulla stazione internazionale in orbita.

“Sì, uno scoiattolo che verrebbe utilizzato per indurre il letargo. È una linea di ricerca che l’Agenzia spaziale europea, di cui sono consulente, ha avviato in anticipo rispetto ad esempio alla NASA, che solo in queste settimane ha deciso di lanciare un bando sulla materia”.

Di questi tempi i viaggi spaziali non vengono considerati una priorità?

“Purtroppo no, sopratutto perché l’agenzia spaziale accelera i progressi della scienza in ogni campo. Ad esempio certe specie di pipistrelli, quando sono attaccati da un virus, vanno in letargo così che se ne arresti la proliferazione. Questo potrebbe diventare un metodo da poter utilizzare nei malati contagiati da covid, che presentano una polmonite interstiziale e aiutandoli fornendogli ossigeno, oppure lo si potrebbe indurre in torpore riducendone il bisogno. Inoltre, potrebbe essere un modo per limitare i danni, fisici per muscoli e ossa, ma anche mentali per chi è obbligato a restare per molti mesi a letto. È stato anche dimostrato che in questo stato si riesce a rallentare, o si arresta, la proliferazione di certe cellule tumorali”.

Cosa accadrà agli incubi nel sonno se si resta in letargo per mesi?

“Nessuna paura, anche l’attività corticale del cervello rallenta durante il periodo di letargo in maniera graduale”.

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