Poche settimane dopo lo sbarco in Normandia, tra la metà di agosto e i primi di settembre del 1944, la Germania nazista sembrava prossima al tracollo militare. Stretta tra l’avanzata ad est dell’Armata Rossa e la pressione ad ovest delle forze anglo-americane, la resa incondizionata richiesta senza mezzi termini dagli Alleati sembrava imminente.
Nell’Alto Comando delle forze anglo-americane la fiducia che la guerra si sarebbe conclusa entro il Natale di quell’anno era altissima.
Bastarono poche settimane per smantellare sotto i colpi di una realtà ben diversa questa convinzione che permeava gran parte dei generali alleati. L’insuccesso dell’Operazione Market Garden e la tenace resistenza dell’esercito tedesco nonostante i gravissimi problemi di rimpiazzi e la perdita di una vera copertura aerea, insieme ai rigori dell’inverno, aprivano la prospettiva di un conflitto che sarebbe durato ancora molti mesi, forse anche un anno.
È anche nel contesto di questo tormentato rapporto che nasce l’Operazione Market Garden e il suo inevitabile fallimento. In un clima nel quale Ike ha perso la presa sui suoi grandi generali (Bradley, Hodges, Patton) Monty, comandante del Trentunesimo Gruppo d’Armate escogitò una manovra audace: sganciare tre divisioni aviotrasportate per mettere in sicurezza un corridoio di 120 chilometri e undici ponti, cosicché il Trentunesimo corpo si possa spingere in tre giorni oltre la sponda destra del Reno ad Arnhem.
L’operazione prevista per il 7 settembre, sarà rimandata al 17 settembre 1944. In quel momento i tedeschi dispongono nell’area interessata appena di 4500 soldati. Monty approfitta di una leggera ferita subita da Eisenhower che lo costrinse al riposo presso il Quartier Generale per circa una settimana per spingere nell’organizzazione del suo piano.
Quel ritardo lascia il tempo ai tedeschi di riorganizzarsi attingendo a varie forze eterogenee. Il 10 settembre i due si incontrano finalmente ed a questo punto Ike ritiene controproducente bloccare l’organizzazione di Market Garden.
Gli intenti dei due nell’appoggiare questo temerario attacco sono però alquanto differenti. Per Montgomery si tratta di aprire la strada per una impetuosa e inarrestabile galoppata entro Berlino da completarsi entro Natale, per Ike l’opportunità di testare sul campo le forze aviotrasportate come nuovo elemento tattico e strategico da utilizzare nelle guerre future.
Si decide di scartare i lanci notturni per gli esiti disastrosi ottenuti in precedenti occasioni e anche quelli all’alba per la presenza di insistenti banchi di nebbia. Si opta quindi per un solo lancio nel pomeriggio che oltre tutto avverrà ad una decina di chilometri dagli undici ponti obiettivo per evitare la reazione più massiccia della contraerea Flak.
I paracadutisti americani dovranno così avanzare velocemente in una regione attraversata da moltissimi canali dove basta una postazione di mitragliatrice per inchiodare le colonne in marcia (cosa che avverrà puntualmente). All’inizio 13.000 paracadutisti dovevano prendere solo i tre ponti più lontani, ma adesso il nuovo piano prevede la conquista di ben undici ponti. Montgomery crede di poter ovviare servendosi di più uomini, 35.000.
Troppi da far atterrare con un unico lancio anche dalla potente aviazione americana che il giorno X ne lancerà circa la metà, una parte delle quali servirà per mettere in sicurezza le zone di lancio e soltanto 8000 inizieranno l’avanzata verso i ponti. Di fatto settecentocinquanta uomini per ognuno degli 11 ponti di cui si prevede la conquista, un numero molto inferiore a quello programmato dal piano.
Questi errori di calcolo sarebbero comunque rimediabili se tutti i comandanti alleati non si facessero accecare dalla convinzione che la guerra fosse ormai agli sgoccioli e dalla propria ambizione personale. Montgomery dà la priorità a Market Garden, a scapito di Anversa. Bradley dà la priorità all’armata di Patton in Lorena, a scapito dell’offensiva di Hodges verso la Ruhr, l’obiettivo che invece Eisenhower considera prioritario.
Con la sconfitta di Arnhem, Market Garden fallisce e negli anni successivi alcuni storici anglosassoni definirono questa operazione “un magnifico disastro“. Un’amara verità si era ormai imposta agli Alleati, la guerra non sarebbe finita entro Natale.
È in questo fosco scenario che il 7 dicembre del 1944 a Maastricht si incontrano per un consulto strategico Dwight Eisenhower, Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa, il maresciallo Bernard Law Montgomery, britannico, e i generali Tedder e Bradley.
Dwight Eisenhower, detto Ike e Bernard Law Montgomery, soprannominato Monty non potevano essere più diversi l’uno dall’altro. I due non si amavano e fin dai primi giorni dopo il D-Day Monty aveva premuto per avere un ruolo decisivo nell’avanzata verso la Germania e questo aveva aumentato se possibile le tensioni con il Comandante Supremo.
Ike non aveva grandi qualità strategiche, ma era un ottimo organizzatore e possedeva quelle necessarie doti di mediazione e diplomazia necessarie per far convivere le due principali componenti della coalizione (americani e britannici) che non si amavano particolarmente. Monty aveva indubbiamente maggiori qualità sotto il profilo squisitamente militare anche se molti storici hanno successivamente ridimensionato questo giudizio. Il generale americano Patton di lui diceva che «Montgomery si preoccupa di più di non perdere una battaglia che di vincerla». Ma torniamo al summit del 7 dicembre.
Montgomery, tanto per non smentirsi, sostenne la necessità di un attacco del XXI Gruppo d’Armate nella Ruhr, guadando il Reno in un punto tra Nimega e Wesel con l’appoggio supplementare di almeno 10 divisioni americane.
Monty sosteneva che dopo la Normandia di fatto le forze alleate avevano fallito tutti gli obiettivi strategici, mentre Ike ovviamente rivendicava che l’avanzata per quanto lenta e costosa sotto il profilo delle perdite umane aveva ulteriormente fiaccato la resistenza delle truppe tedesche.
Gli eventi autunnali d’altra parta avevano picconato la credibilità strategica dell’egocentrico maresciallo britannico. Se possibile già dalla fine di giugno Monty era riuscito a farsi detestare dalla grande maggioranza dei generali americani.
Nonostante le “provocazioni” che il vanesio eroe nazionale inglese non aveva risparmiato al Comandante Supremo, Eisenhower impegnò tutte le sue capacità di mediazione per evitare una frattura irrecuperabile con Monty, di più fu lui ad evitare che l’inglese fosse esautorato dal comando come invocato da gran parte dei generali statunitensi.
Molti alti ufficiali americani preferivano al ruvido maresciallo, Harold Alexander, squisito gentiluomo-soldato, eroe della Prima Guerra Mondiale, vestito sempre impeccabilmente e dai modi raffinati. Alexander era però un ufficiale un po’ indolente e senza le indubbie capacità tattiche e strategiche di Monty che rimaneva di gran lunga il miglior “professionista” delle forze militari inglesi.
Per il bene della causa alleata era importante che Montgomery mantenesse il posto, tanto ormai le speranze di concludere la guerra in tempi brevi era sfumata.
Ike promise al generale britannico che ai primi di gennaio avrebbe potuto puntare sul Reno con l’appoggio della IX Armata di Simpson ma senza andare a detrimento di altre offensive, in particolare al sud con l’armata comandata da Patton, in nome della strategia definita “del fronte allargato”. Gli americani erano convinti che dopo lo sbarco in Normandia, il peso maggiore dell’offensiva, anche in termini di tributo di sangue era ricaduto su di loro.
Fra il 1 settembre e il 16 dicembre 1944 la I Armata ebbe un salasso di 45.000 uomini, mentre la IX Armata aveva subito 10.056 perdite e la III Armata oltre 56.000 perdite. A questi dati già estremamente preoccupanti si dovevano aggiungere 113.742 perdite dovute soprattutto al fenomeno del piede da trincea e allo stress da combattimento.
Il vertice di Maastricht si concluse, che tempo permettendo, sarebbe proseguita la lenta e omogenea avanzata, nessuno dei comandanti alleati presenti al summit immaginava che Hitler stava preparando l’ennesimo colpo di coda e che da li a poco si sarebbe scatenato l’inferno delle Ardenne.
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