lunedì, Settembre 16

Il dibattito tra Bohr e Einstein

Lo scontro di opinioni tra i due colossi della fisica moderna, Bohr e Einstein, ha costituito uno dei punti più alti nell’ambito della ricerca scientifica della prima metà del ventesimo secolo, ed è ricordato per l’enorme importanza che ha costituito per la filosofia della scienza.

Avvenuto mentre era in atto la rivoluzione della fisica, che da allora assumerà la denominazione di quantistica, esso ha toccato tematiche che sono fondamento di quest’ultima, tra cui troviamo il principio di non località, il concetto di probabilità e il principio di indeterminazione.

Nonostante la divergenza di opinioni, il diverso contesto culturale di provenienza, i rispettivi caratteri forti, tra i due scienziati persisterà una sincera e profonda ammirazione reciproca che si trascinerà per tutta la loro vita. Alla fine, però, la comunità scientifica è a stragrande maggioranza d’accordo sul fatto che il dibattito tra loro abbia visto emergere un vincitore, Bohr, e uno sconfitto, Einstein.


Ironia vuole che lo stesso Einstein, che all’inizio aveva appoggiato le affermazioni di Plank riguardo la scoperta dei quanti, e aveva scoperto che la luce era composta anch’essa da pacchetti (in seguito chiamati fotoni), rimarrà talmente sconcertato dalle conclusioni a cui la rivoluzione della fisica che era in atto stava giungendo, da cambiare completamente posizione e metterne in dubbio i fondamenti, elaborando continuamente esperimenti mentali con lo scopo di minarne la validità, senza alla fine, riuscire nel suo intento.


Di contro Bohr, che all’inizio aveva espresso perplessità sulla scoperta dei fotoni, sarà colui che prenderà le difese delle nuove interpretazioni e riuscirà a farle prevalere sulle contro argomentazioni di Einstein. Il contesto dove avvenne lo scontro fu offerto dalle conferenze di Solvay, incontri in cui si dibatteva di scienza, e ai quali, si consentiva di partecipare soltanto ai più importanti fisici che erano di volta in volta invitati.

Il quinto incontro, avvenuto nel 1925, fu dedicato alle recenti scoperte della meccanica quantistica e furono invitati tutti i maggiori scienziati: la vecchia guardia, rappresentata da Plank, Bohr e Einstein, e la nuova guardia con Heisenberg, Schrodinger, Born e Dirac. Heisenberg e Bohr unirono le forze per costituire un fronte comune, a difesa di quelli che sarebbero a breve diventati i principi dell’Interpretazione di Copenhagen.

Tra questi principi sono inclusi: la funzione d’onda di Schrodinger, l’interpretazione probabilistica di Born, il principio di indeterminazione di Heisenberg, il principio di complementarietà di Bohr e e il collasso della funzione d’onda durante la misurazione.

La tesi che Heisenberg e Bohr avanzarono affermava che la teoria quantistica era completa e che non vi erano caratteristiche sconosciute delle misurazioni che fossero attribuibili a mancanza di conoscenza.
Einstein si mostrò scettico sulla validità di questa tesi e cominciò a porre obiezioni sul principio di complementarietà di Bohr.

Il suo rifiuto nell’accettare che la teoria quantistica fosse completa, risiedeva sul fatto che egli desiderava che venisse sviluppato un modello teorico che spiegasse le cause sottostanti le incertezze nelle misurazioni, e che non accettava che venisse introdotto un principio di probabilità nelle leggi della fisica.


Il dibattito si svolse giorno e notte e si rinnovò nella successiva conferenza del 1930. La strategia usata da Einstein per confutare le tesi di Bohr, consistette nella costruzione di esperimenti mentali, nei quali le proprietà di un sistema quantistico ideale venivano misurate senza errori. Questi esperimenti venivano illustrati a Bohr, il quale si ritirava per riflettere, e si ripresentava l’ora o il giorno successivo dando la sua risposta, ma finendo poi per essere messo a confronto con un altro esperimento mentale, che lo costringeva a ritirarsi nuovamente.


L’esperimento che mise più in difficoltà Bohr fu un fascio di elettroni che colpiva uno schermo fisso con doppia fenditura: gli elettroni trasmessi finivano per formare la tipica figura di diffrazione, rilevata su un secondo schermo, dove si potevano distinguere le frange chiare e quelle scure, prodotte dall’interferenza tra le onde di elettroni che passavano le fessure.

Assumendo che veniva emesso un solo elettrone alla volta, cosicché un solo elettrone era presente nel sistema in un dato periodo di tempo, con un metro si misurava lo spostamento dello schermo a doppia fessura causato dalla forza impatto dell’elettrone, e la posizione in cui viene rilevato nel secondo schermo. Per Einstein queste due informazioni la posizione e la quantità di moto simultanei dell’elettrone con un certo margine di precisione.


La risposta di Bohr fu ancora più ingegnosa: intuendo che se lo spostamento dovuto dalla forza di impatto degli elettroni era misurabile, allora ciò voleva dire che lo schermo possedeva una massa finita. E se lo schermo aveva massa finita, di conseguenza, ci doveva essere un’incertezza nella posizione delle fessure, la quale si traduceva nello sbiadimento delle frange di interferenza. Si trattava, infatti, di un esempio perfetto per spiegare la sua stessa legge di complementarietà, per la quale più un apparato misura proprietà della particella, meno riesce a misurare proprietà dell’onda.


Sebbene Einstein ammise di aver perso il primo round, non gettò la spugna, e alla conferenza del 1930 tornò alla carica dando a Bohr ancor più filo da torcere. Questa volta il suo esperimento mentale riguardava una scatola, cui era stato praticato un foro, che poteva essere aperto o chiuso tramite un dispositivo controllato da un orologio posto all’interno della scatola stessa.

Quest’ultima venne poi riempita di radiazioni e pesata. Dopo di ciò, tenendo il foro aperto per un tempo T, un singolo fotone veniva emesso, e la scatola veniva ripesata, allo scopo di determinarne, con un grado arbitrario di precisione, sia l’energia del singolo fotone (tramite la sua famosa legge E= mc^2), sia tramite l’orologio, quindi con l’istante esatto della sua emissione. Il fatto di poter stabilire con certezza queste informazioni contraddiceva il principio di indeterminatezza di Heisenberg.


Bohr impiegò un po’ di tempo a trovare una soluzione, ma alla fine ci riuscì ritorcendo la teoria della relatività generale contro Einstein stesso! Egli immaginò un apparato di misurazione composto da una bilancia e una molla a cui la scatola era agganciata: non appena il fotone usciva dalla scatola, il suo peso cambiava, ma anche la sua altezza, poiché la molla la tirava su.

Ma al cambiare dell’altezza, cambiava anche la tempistica con cui il dispositivo apriva la scatola, secondo la legge della dilatazione gravitazionale del tempo della relatività generale. Calcolando l’incertezza nel tempo e quella riguardo il peso della scatola, si otteneva una costante abbastanza elevata da salvare il principio di indeterminazione di Heisenberg!


Nonostante avesse subito un’altra sconfitta, Einstein non si lasciò convincere e nel 1935 formulerà il famoso argomento EPR, ma alla fine Bohr riuscì nuovamente a controbattere, riconfermando così i fondamenti della meccanica quantistica.


Fonti:
www.galileo-unbound.blog
www.cronachedalsilenzio.it

1 Comment

  • Antonio

    Orientarsi nel confronto fra questi colossi della scienza e della fisica ed esporre le tesi con impeccabile esattezza non è cosa da poco. Occorre avere padronanza di coordinate di logica e di ricerca solidissima come dimostra di avere questo giovane studioso. Complimenti sinceri

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