giovedì, Settembre 19

Non abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà

Questa celebre massima di Lucio Anneo Seneca ci introduce ad una delle esperienze più destabilizzanti e difficili dell’esistenza umana: il dolore. Si stima che quasi il 40% della popolazione mondiale soffra di dolori cronici o ricorrenti. Eppure questa a volte insopportabile sensazione è probabilmente una delle risposte dell’evoluzione per avvisarci di pericoli concreti e immediati per la salute e la nostra stessa sopravvivenza.

Il dolore è anche ricco di paradossi, esiste anche nella sua forma per così dire piacevole, come ad esempio il dolore dei muscoli contratti dopo una lunga corsa o una seduta in palestra piuttosto impegnativa.

I dolori più forti

Escludendo le sofferenze prodotte da alcune malattie terminali, i dolori più acuti sono quelli del parto, dell’arto fantasma e del nervo trigemino. In particolare quello dell’arto fantasma è uno dei dolori più forti e prolungati che esistono e può durare per tutta la vita della persona amputata. Può sembrare paradossale che un dolore così estremo si provi per qualcosa che non c’è più.

Secondo una teoria, il cervello interpreta l’assenza di segnali da parte delle fibre nervose dell’arto mancante come una ferita talmente grave da aver ucciso le cellule, e invia un interminabile grido di dolore, come un allarme che non si spegne mai. Non è da meno il dolore causato dalla nevralgia del trigemino. Il trigemino è il nervo che porta al cervello le informazioni percepite a livello del volto. Quando non funziona correttamente si può avere a che fare con la cosiddetta nevralgia del trigemino, una condizione dolorosa cronica in cui dolori lancinanti possono essere scatenati da stimolazioni molto lievi, come radersi, toccarsi il volto, masticare, bere, lavarsi i denti, parlare, truccarsi, sorridere, lavarsi la faccia o il vento che soffia sul volto.

Inizialmente gli attacchi posso essere brevi e di lieve entità, ma con il tempo la situazione può peggiorare, gli attacchi farsi più frequenti e il dolore diventare sempre più lancinante. A soffrirne sono soprattutto le donne e le persone al di sopra dei 50 anni.

Il meccanismo del dolore

Ancora non è del tutto chiaro il funzionamento del meccanismo del dolore. Intanto non esiste nel cervello un centro del dolore né una sede unica che ne recepisce i segnali. Il dolore può affiorare in qualunque zona del cervello e se ripetiamo l’azione che lo provoca, ad esempio colpendoci con un martello per due volte di seguito mentre tentiamo di appendere un quadro, non è affatto detto che la zona del cervello che ha “segnalato” la prima martellata, sarà anche la stessa che registrerà la seconda.

In ogni caso da qualunqua parte del corpo “parta” il segnale del dolore, noi lo sentiamo soltanto dopo che interviene il nostro cervello.

Misurare il dolore

Non è semplice misurare l’intensità del dolore. Ogni persona ha una soglia diversa della sua percezione e soprattutto della sua “sostenibilità”. Uno dei modi più noti per misurare il dolore è il questionario McGill, ideato nel 1971 da Ronald Melzack e Warren S. Torgerson della McGill University di Montreal. Si tratta di un elenco di 78 parole che indicano diverse caratteristiche del dolore, tipo «lancinante», «pungente», «tediante», «dolente» oppure «crudele» e «feroce» e ancora «straziante» e «orribile». Molti termini sono vaghi e difficilmente distinguibili gli uni dagli altri, per questo negli ultimi anni si sta affermando una scala più semplice, che misura il livello del dolore da 1 a 10.

Zero è l’assenza di questa sipaicevole sensazione, 10 è il dolore intollerabile, 3 è il limite di sopportazione ammesso da parte dell’OMS. C’è anche una scala verbale che distingue tra dolore assente, lieve, moderato, forte, molto forte, intollerabile. Si cerca anche di misurare ciò che il dolore può influenzare: movimento, riposo notturno, attività lavorativa, stato dell’umore, attività relazionale e sociale, vita affettiva. Nel bambino la misurazione è più complessa e si utilizza la scala delle faccine, ovvero una scala con diverse espressioni visive con le quali il bambino si rapporta indicando il suo stato doloroso e il suo disagio.

Dove comincia il dolore

L’esperienza del dolore inizia subito sotto la pelle, nelle apposite terminazioni nervose chiamate nocicettori («noci» deriva dal termine latino che significa «male»), che reagiscono a tre diversi stimoli: termico, chimico e meccanico. Da qui i segnali del dolore vengono trasmessi al midollo spinale e al cervello da due tipi di fibre, le A-delta a conduzione rapida (rivestite di mielina, quindi più scorrevoli) e le più lente C.

La prime trasmettono il dolore acuto, le seconde quello pulsante. I nocicettorei reagiscono solo a sensazioni dolorose o fastidiose e non a sensazioni di contatto come ad esempio se mettiamo la mano sulla maniglia di una porta o appoggiata ad un tavolo. I segnali nervosi viaggiano nel corpo umano alla velocità di 430 km orari circa. Questo garantisce la percezione pressocché istantanea della sensazione dolorosa. E’ grazie al combinato disposto dei nostri riflessi e di questa velocità che a volte se si tocca una cosa pericolosa la mano si ritrae prima che il cervello ne venga a conoscenza.

Diversi nocicettori sono polimodali, cioè vengono innescati da stimoli diversi. È per questo che i cibi piccanti risultano caldi. Vengono attivati gli stessi nocicettori che registrano il potenziale dolore e il calore. I nocicettorei furono scoperti nel 1906 da un grande scienziato britannico, inventore anche del termine sinapsi, Charles Scott Sherrington.

Fonti:

Humanitas.it

Fondazione Veronesi

Bryson, Bill. Breve storia del corpo umano: Una guida per gli occupanti

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