Ad 87 anni, oggi si è spento, Tom Wolfe giornalista, saggista e romanziere americano nato a Richmond, in Virginia, il 2 marzo 1931.
Il suo romanzo più celebre è Il falò delle vanità pubblicato nel 1987 e che riscosse un travolgente successo, tanto da avere una trasposizione cinematografica tre anni dopo con l’omonimo film diretto da Brian De Palma ed interpretato da Tom Hanks, Melanie Griffith e Bruce Willis. Il film non replicò però né il successo di pubblico né quello della critica che invece arrise al romanzo di Wolfe.
Il falò delle vanità è una storia di avidità, razzismo ed ambizione tra Sherman McCoy, un giovane, arrogante finanziere di successo; il sostituto procuratore ebreo Larry Kramer e il giornalista britannico Peter Fallow nella New York degli anni Ottanta.
E’ anche uno spaccato sociologico dell’america reganiana, una sorta di conflitto di classe messo in scena tra i nuovi ricchi (gli yuppies), divenuti tali grazie anche ad ardite speculazioni finanziarie, e i cittadini comuni, che prendono a pretesto la vicenda di McCoy per manifestare la propria insofferenza verso uno stile di vita che non hanno mai né condiviso né moralmente approvato. Emerge infatti nel libro una sorta di puritanesimo americano che Wolfe enfatizza probabilmente oltre quanto effettivamente presente nella società.
Considerato uno dei padri del New Journalism capace di mescolare cronaca ed invenzione Wolfe ha coniato numerose espressioni entrate poi nel linguaggio comune, tra tutte, radical chic per indicare quegli intellettuali che esprimono la loro radicalità all’interno dei salotti e della mondanità.
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