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Il “lato oscuro” di Plutone

Quando cinque anni fa la sonda spaziale New Horizons è sfrecciata accanto a Plutone, ha mostrato le immagini di un mondo dinamico e dalla selvaggia bellezza. Scarpate di azoto, vulcani ghiacciati più grandi del monte Everest, schegge di metano alte come grattacieli, insomma la superficie di questo pianeta nano è tutt’altro che una distesa piatta e brulla.

A distanza di cinque anni gli scienziati devono ancora visionare e studiare un numero considerevole delle migliaia di immagini scattate da New Horizons, che ha raggiunto il pianeta alla velocità di 52.000 km all’ora. Prima del passaggio ravvicinato la sonda ha scattato le foto dell’emisfero di Plutone non illuminato dalla luce e sono proprio queste immagini oggetto dell’analisi attuale.

Il materiale fotografico del “lato oscuro” di Plutone ovviamente non ha la risoluzione delle immagini scattate dell’emisfero illuminato dal Sole durante il punto di passaggio più ravvicinato al pianeta. Ciò nonostante mostrano il suolo con una risoluzione che varia dai 2 ai 30 km e sono ingrandite di oltre 250 volte rispetto alle immagini catturate dal telescopio spaziale Hubble.

In ogni caso è quello che di meglio hanno in mano gli astrofisici almeno per i prossimi 30 o 40 anni, sempre che si intenda lanciare una missione spaziale diretta verso il pianeta nano che dista dalla Terra, nel punto orbitale più prossimo, circa 29 unità astronomiche, ovvero 29 volte la distanza Sole-Terra.

Scoperto da Clyde Tombaugh nel 1930, è stato considerato per 76 anni il nono pianeta del sistema solare. Il suo status di pianeta venne messo in discussione dal 1992, ma il colpo finale avviene dopo la scoperta di Eris nel 2005, un pianeta nano del disco diffuso che è il 27% più massiccio di Plutone. L’anno successivo l’Unione Astronomica Internazionale riclassificò Plutone come pianeta nano.

Nella storia della nostra conoscenza di questo mondo ghiacciato c’è un prima ed un dopo New Horizon. Quando nel 2015 la sonda osservò la nota formazione dall’aspetto di cuore, a nord dell’equatore, ed in particolare Sputnik Planitia, un bacino gelato dove scorrono vorticosamente massicci ghiacciai, abbiamo compreso l’influenza di questo moto sul pianeta nano.

Quando il Sole riscalda questo deserto ghiacciato, si innalza un pennacchio di vapori nell’atmosfera che poi ricade al suolo quando il giorno finisce. Si ipotizza che questo processo possa essere responsabile dell’inclinazione dell’asse di Plutone.

Le prime immagini di Sputnik Planitia hanno mostrato come questa pianura ghiacciata sia quasi perfettamente allineata con Caronte, una delle lune di Plutone. Le probabilità che questo allineamento sia del tutto casuale sono di circa il 5%. Gli attuali modelli suggeriscono invece che sotto questa depressione un tempo si sia formato un oceano sotterraneo. In questo bacino freddissimo, in seguito si sarebbe congelato l’azoto gassoso dell’atmosfera di Plutone. Sarebbero stati il peso dell’acqua e del ghiaccio neo formati a conferire l’attuale inclinazione del pianeta nano.

L’idea della presenza di un oceano sotterraneo si è ulteriormente rafforzata dopo le analisi delle immagini del “lato oscuro” di Plutone, la caotica morfologia del suolo dove fenditure, creste e zone pianeggianti si alternano è tipica di altri pianeti del Sistema Solare, come Marte, Mercurio ed Europa, una delle lune di Giove.

La bassa risoluzione delle immagini del lato lontano del pianeta non permette però di sciogliere ogni dubbio su questa interpretazione e l’enigma si potrà chiarire soltanto se decideremo di tornare a visitare questo gelido mondo, magari con una missione ad hoc.

Una gigantesca frattura che corre dal Polo Nord per poi tornare verso il Polo Sud nel lato lontano di Plutone fa ipotizzare che sia una cicatrice dovuta al congelamento ed all’espansione di un oceano liquido, che avrebbe iniziato a congelarsi quasi immediatamente dopo la sua formazione. L’eventuale presenza di un oceano sotterraneo ha riaperto il dibattito sulla possibile presenza di vita aliena anche su un pianeta così estremo come Plutone.

La presenza di ammoniaca, riscontrata anche dalle immagini sul lato nascosto del pianeta nano, rilevata come una lunga macchia rossa che corre intorno all’equatore, la zona con la massima insolazione ed il clima più “temperato” di Plutone, rafforza la possibile presenza di molecole organiche. Insomma le attuali analisi dimostrano che due delle condizioni per lo sviluppo della vita possono essere presenti su Plutone: acqua e molecole organiche. Manca al momento la terza: l’energia.

Ma l’analisi delle foto scattate da New Horizon sul lato oscuro del pianeta nano hanno fatto emergere altri misteri. Uno di questi è il terreno costellato da aguzze creste di ghiaccio, separate le una dalle altre da pochi chilometri ed alte circa un chilometro e lunghe fino a trenta. Ebbene sul lato lontano la superficie occupata da questo terreno erto di creste affilate è circa 3,5 volte più grande del lato vicino.

I dati spettrali hanno rivelato che queste lame di ghiaccio sono fatte di ghiaccio di metano e formano una sorta di cintura intorno all’equatore. La genesi di queste formazioni è tutt’ora avvolta nel mistero. Qualunque sia la teoria sulla loro formazione (ne esistono diverse) tutte si devono confrontare con la meteorologia del pianeta. Secondo un modello climatico pubblicato lo scorso anno il metano si accumula a quote elevate, mentre l‘azoto si accumula nella bassa atmosfera e questo spiegherebbe perché il bacino di Sputnik Planitia è ricco di azoto ghiacciato mentre il terreno occupato dalle lame sia pervaso di metano ghiacciato.

L’atmosfera di Plutone è più calda della superficie e quindi dominano i venti discendenti, questo significa che l’azoto non può spostarsi dalle zone più basse ed il metano d’alta quota si condensa sui monti più alti prima di raggiungere la superficie.

Secondo un studio, frutto della collaborazione di scienziati di diversi paesi pubblicato nel 2019, prendendo in considerazione l’evolversi dell’atmosfera nell’arco di tempo che va dal 1988 al 2016, suggerisce che l’atmosfera di Plutone dovrebbe collassare in superficie e congelarsi completamente entro il 2030.

Insomma i dati raccolti dalla sonda New Horizon hanno aperto una ricca messe di studi ed analisi che però non potranno completarsi in modo soddisfacente senza una missione appositamente dedicata a questo straordinario oggetto celeste.

La Nasa ha commissionato ad un team di scienziati una sorta di studio di fattibilità per una sonda orbitale che possa mappare tutto il pianeta. Sempre che questo studio preliminare si traduca in una vera e propria missione, il lancio non avverrà prima del 2030-2040, poi ci vorranno ulteriori 15 anni di viaggio verso il pianeta nano.

In attesa del 2055 però il materiale a disposizione permetterà agli scienziati una grande messe di lavoro che occuperà gran parte di questo lungo lasso di tempo.

fonte: Le Scienze, ottobre 2020, edizione cartacea ed alcune voci di Wikipedia

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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