lunedì, Settembre 16

Il lento declino della dieta mediterranea

Nel 2013, l’Unesco ha inserito la dieta mediterranea nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità, attribuendone la paternità a Croazia, Cipro, Grecia, Italia, Marocco, Portogallo e Spagna. Si trattava del punto di arrivo di un lungo percorso di studio ed analisi dei benefici di un’alimentazione basata sui carboidrati (pasta e riso in particolare), legumi, latticini, frutta e verdura. Il tutto accompagnato dal consumo di una robusta quantità di vino.

Già nel 1970, trentatré anni prima, Ancel Keys aveva pubblicato la prima parte del suo studio di lungo periodo sull’alimentazione e la salute degli abitanti di Italia, Grecia e altri cinque Paesi, dove rilevava come la dieta degli stessi fosse associata a una bassa incidenza di malattie cardiovascolari. Se si eccettua il consumo abbondante di vino che medici e nutrizionisti oggi sconsigliano è indubbio che la dieta mediterranea oltre a contrastare l’insorgenza di malattie cardiovascolari, diminuisce del 10% circa le probabilità di contrarre determinate tipologie di cancro e offre una qualche protezione contro il diabete di tipo 2.

Eppure nonostante queste lusinghiere premesse la dieta alimentare nei paesi che l’hanno “inventata” ha ceduto il passo ad un’alimentazione meno salubre e più in linea con il consumismo alimentare imperante. Negli ultimi 50 anni in Italia l’unico alimento della dieta mediterranea che non soltanto ha resistito ma ha registrato una significativa impennata nel consumo è la frutta cresciuta di quasi il 50%.

Il consumo di carne e di grassi animali è triplicato, si mangia meno pasta e si beve molto meno vino, per l’esattezza il 75% in meno. Noi consumiamo ormai birra quasi quanto vino. Il declino della dieta mediterranea in Spagna è stato ancora più rapido e radicale. Gli spagnoli continuano ancora a consumare pesce e frutti di mare in abbondanza ma, hanno praticamente abbandonato cereali, legumi e verdure. L’olio d’oliva oggi fornisce meno la metà dei grassi usati in cucina dagli spagnoli che consumano soltanto 20 litri di vino l’anno, la metà del consumo della birra.


Ma c’è di più. Nel 1975, l’anno della morte di Franco, ogni spagnolo, mediamente consumava venti chili di carne l’anno. Oggi sfiorando i 100 chili annui la Spagna, supera nettamente nazioni tradizionalmente “carnivore” come Germania, Danimarca e Francia. In tutti i paesi che vantano la paternità della dieta mediterranea, sia pure con le dovute differenziazioni assistiamo alla diffusione globale del cibo grasso da fast food, salato, zuccherato e a base di carne.

Le ragioni delle crisi profonda e forse irreversibile della dieta mediterranea sono molteplici. Da un lato l’aumento medio dei redditi che permette un consumo più vasto di carne, la polverizzazione dei nuclei familiari che cucinano con meno frequenza a casa e acquistano cibi che non richiedono alcun tipo di preparazione. Uno stile di vita frenetico che favorisce un alimentazione basata sul cibo di strada e i fast food.

Inevitabilmente il tasso di obesità in Italia e Spagna è in forte crescita e tende ad allinearsi con quello degli Stati Uniti che sono stati e sono ancora la nazione numero uno per quanto riguarda il “cibo spazzatura“.

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