giovedì, Settembre 19

Il lutto nel Medio Evo

Il colore nero come emblema del lutto è un lascito greco-romano. Il re dei morti, in Euripide, è vestito di melas, che letteralmente significa “sudicio, mesto, lugubre”. La legge romana prevedeva per chi era in lutto l’astensione dai banchetti, dagli ornamenti preziosi, dall’indossare vesti bianche e si hanno riscontri storici accertati che già nel banchetto funebre per la morte dell’imperatore Domiziano (morto nel 96 e.v.) non soltanto i partecipanti erano vestiti di nero, ma persino le suppellettili erano ricoperte di panno nero.

Nell’alto Medio Evo, se dobbiamo dare credibilità a quanto scrive Isidoro da Siviglia, le donne piangevano i morti infliggendosi lacerazioni alle guance e vestendo i cadaveri di rosso, come a richiamare il sangue che si riteneva sede dell’anima. La liturgia cattolica ribadisce il nero come unico colore ammesso durante il lutto, nel riconoscimento dei propri peccati e per rispetto ai defunti, mentre i sacerdoti devono indossare il viola.

Queste norme di comportamento sono dettate da papa Innocenzo III (1160-1216), autore di un celebre trattato, il De contemptu mundi (“Sul disprezzo del mondo”)

Il lutto nel Medio Evo doveva essere rispettato per un periodo oscillante tra i dieci mesi ed un anno, dopo di ché si riteneva che il defunto fosse passato definitivamente nell’aldilà. In tutti questi mesi, e anche più avanti, era diffuso (già dall’età antica) il costume di portare sulla tomba fiori colorati, soprattutto rossi o purpurei, con la convinzione che fossero di conforto al morto.

Prima però dell’inumazione la tradizione voleva che il morto fosse pianto a lungo, anche attraverso gesti estremi come la già citata pratica di lacerarsi le guance. Sarà ancora una volta la Chiesa Cattolica ha moderare gli eccessi di questi tributi al defunto. L’esigenza umana, di manifestare il dolore per la perdita veniva quindi “imbrigliata” da teologi e predicatori, i quali insistevano sulla necessità della moderazione.

Anche le troppe lacrime possono essere controproducenti e secondo una leggenda relativa al monaco benedettino Vicelino (morto nel 1154), egli apparve in sogno a una pia donna chiedendole di avvisare il suo amico Heppo, che continuava a piangerlo incessantemente, che lui stava bene ma a causa delle sue lacrime la sua tunica candida come la neve era tutta bagnata.

L’unica eccezione era il dolore manifestato con le lacrime della Madonna, le sue lacrime sono quelle di ogni donna che ha perduto il figlio e quindi è inevitabile commuoversi e anche per la Chiesa giustificare. Non si deve incorrere nell’errore di associare ai paesi mediterranei le più vistose manifestazioni di lutto anche nei nel profondo nord dell’Europa il pianto disperato e fragoroso è patrimonio comune di quelle genti, come dimostrano le saghe ed i poemi germanici e norreni.

Anche in questi paesi però quest’eccesso di disperazione viene condannato prima di tutto perché le lacrime inzuppano gli abiti dei morti e ne turbano la pace. Essendo poi società guerriere queste eccessive manifestazioni di dolore mal si coniugavano con la fine gloriosa di un guerriero destinato al Valhalla.

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