Il nostro futuro con Covid19

Jesse Bloom è un biologo evolutivo che lavora al Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, Washington, all’inizio del 2020, mentre il mondo veniva investito, del tutto impreparato, dalla prima ondata della malattia che in seguito sarebbe stata identificata come Covid19, si concentrò sulla possibile evoluzione del nuovo agente patogeno SARS-Cov-2.

Come diversi altri specialisti aveva previsto che non ci saremmo liberati mai più del nuovo virus. Il futuro del patogeno sarebbe stato diventare endemico come precedentemente avevano fatto altri quattro coronavirus “stagionali” che causano leggeri ma fastidiosi raffreddori. Bloom si è basato sulla conoscenza di questi quattro coronavirus endemici per tracciare una sorta di tabella di marcia evolutiva di SARS-Cov-2. Il problema sorge dalla scarsa conoscenza che abbiamo su questi coronavirus che da decenni circolano tra noi.

Un aiuto dai coronavirus endemici

Uno degli esempi meglio studiati – un coronavirus stagionale chiamato 229E – infetta le persone ripetutamente durante la loro vita. Ma non è chiaro se queste reinfezioni sono il risultato di risposte immunitarie sbiadite nei loro ospiti umani o se i cambiamenti nel virus lo aiutano a schivare l’immunità.

Per cercare di capire quale sia il meccanismo che consente a questo coronavirus di sfuggire al nostro sistema immunitario Bloom è ricorso all’analisi di campioni di sangue vecchi di diversi decenni di persone probabilmente esposte al virus 229E e li ha testati per gli anticorpi contro diverse versioni del virus che risalgono al 1980. I risultati sono stati illuminanti. I dati hanno dimostrato che i campioni di sangue degli anni Ottanta avevano un’alta concentrazione di anticorpi che bloccavano l’infezione contro una versione di 229E del 1984. Gli stessi anticorpi avevano però una minore capacità neutralizzante nei confronti di una variante del virus del 1990 ed erano ancora meno efficaci contro le varianti di 229E del 2000 e del 2010.

Lo stesso schema risultava valido per i campioni di sangue degli anni Novanta dello scorso secolo. Era evidente che il virus si stava evolvendo per aggirare l’immunità. Bloom è convinto che questo schema sia sostanzialmente alla base delle mutazioni di SARS-Cov-2 e della conseguente difficoltà di arginare la pandemia. Varianti come la Delta ed Omicron portano mutazioni che rendono meno efficace la risposta anticorpale rispetto al ceppo originario del patogeno.

E questo processo di aggiramento delle difese immunitarie è destinato a crescere man mano che la maggior parte del pianeta acquisisce l’immunità al virus attraverso l’infezione, la vaccinazione o entrambe. I ricercatori stanno correndo per caratterizzare la variante Omicron altamente mutata. Dai primi studi essa appare già in grado di aggirare le difese immunitarie, anche quelle delle persone vaccinate.

Quanto è grave Omicron?

Da come si evolverà nei prossimi mesi SARS-Cov-2 dipenderà la fine di questa pandemia, se il virus si trasformerà in un semplice raffreddore o se muterà verso una sorta di influenza magari più aggressiva e pericolosa. La campagna di vaccinazione che ha permesso fino ad oggi di somministrare, con grandi differenze tra paesi ed aree del mondo, circa 8 miliardi di dosi influenzerà certamente il percorso evolutivo del virus. Non sappiamo però, al momento, in quale direzione.

Certo è che ritardi nelle campagne vaccinali, eliminazione eccessiva delle restrizioni e del distanziamento sociale contribuiscono a mantenere sostenuta la circolazione virale, favorendo l’insorgere di altre varianti con il rischio di imbattersi in mutazioni sempre più sfuggenti e virulente. Nel frattempo gli scienziati studiano gli effetti delle mutazioni nelle varianti per cercare di prevedere come il virus possa finalmente evolvere in modo più prevedibile.

La spinta evolutiva di un virus può percorrere sostanzialmente due strade diverse. La prima è una maggiore trasmissibilità in modo che si diffonda più facilmente grazie a starnuti, tosse o semplici droplet di saliva. L’altra strada evolutiva è quella che consente al virus di aggirare la risposta immunitaria. Se il virus si diffonde in un ospite che non è stato contagiato o non si è vaccinato trova più conveniente accentuare la ricerca di una maggiore trasmissibilità.

“Mi aspettavo che questo nuovo coronavirus si sarebbe adattato agli esseri umani in modo significativo e questo avrebbe probabilmente significato una maggiore trasmissibilità“, dice Wendy Barclay, un virologo dell’Imperial College di Londra. I primi grandi salti nella trasmissibilità del patogeno sono avvenuti con le varianti Alpha e Delta. Tra la fine del 2020 e gli inizi del 2021 i ricercatori del Regno Unito hanno individuato una variante chiamata B.1.1.7 che conteneva numerose mutazioni nella sua proteina spike. La variante battezzata Alpha era del 50% più infettiva del ceppo originario.

Nello stesso tempo, in Sud Africa veniva individuata la variante Beta che produceva in quel paese un’ondata di nuove infezioni. Poco tempo dopo, in Brasile emergeva Gamma, un’altra mutazione del virus. Queste tre varianti avevano in comune la capacità di produrre infezioni molto lunghe soprattutto in persone con sistemi immunitari compromessi. Questa tipologia di infezioni di lunga durata associata a focolai scatenati dai cosiddetti super diffusori potrebbero anche spiegare perché alcune varianti si sono affermate ed altre invece siano scomparse.

Qualunque sia stata l’origine di queste varianti Beta e Gamma contenevano mutazioni che facevano diminuire l’efficacia degli anticorpi neutralizzanti in grado di bloccare l’infezione, sia prodotti da un precedente contagio che da una vaccinazione. Le tre varianti si diffusero in tutto il mondo, in particolare Alpha, che scatenò nuove ondate di COVID-19 che arrivarono a dominare in Europa, Nord America, Medio Oriente e oltre. Molti ricercatori si aspettavano che la successiva variante fosse partorita da Alpha che sembrava ormai quella dominante su gran parte del pianeta.

Nella primavera del 2021 nello stato indiano del Maharashtra si è abbattuta una feroce ondata di COVID-19. Responsabile di questa ondata di infezioni e morti era una nuova variante, ribattezzata Delta. Giunta rapidamente nel Regno Unito, da li si è diffusa per tutta Europa e nel resto del mondo grazie ad una maggiore trasmissibilità (+60%) di Alpha. Rispetto ad altre varianti, tra cui Alpha, Delta si moltiplica più velocemente e a livelli più alti nelle vie respiratorie degli individui infetti, superando potenzialmente le risposte immunitarie iniziali contro il virus.

Secondo gli esperti però questo incremento di trasmissibilità non può progredire all’infinito. Il virus deve bilanciare la sua capacità di replicarsi ad alti livelli nelle vie respiratorie delle persone con la necessità di mantenerle abbastanza sane da infettare nuovi ospiti. Gli scienziati immaginano che alla fine ci sarà un compromesso tra la quantità di virus che si può produrre e la velocità con cui si sollecita il sistema immunitario, anche se non dobbiamo farci troppe illusioni, almeno sul medio periodo che il virus diventi meno aggressivo. Tutte le varianti che sono state citate si sono contraddistinte per un alto tasso di ospedalizzazione e di decessi.

L’ascesa di Omicron

Ancora una volta il virus ha sorpreso i ricercatori che si aspettavano una variazione di Delta. Invece nella provincia di Gauteng in Sudafrica si è scatenato un focolaio da cui si fa ricorrere l’insorgenza di Omicron. Questa variante presenta circa 30 cambiamenti a spiga, molti condivisi con le altre varianti di preoccupazione, e gli scienziati di tutto il mondo stanno lavorando per valutare il grado di pericolosità di questa variante che ha quasi del tutto soppiantato la Delta nel Regno Unito.

La preoccupazione maggiore di Omicron non è tanto quella di una maggiore trasmissibilità rispetto a Delta quanto nella sua capacità di infettare persone che hanno già avuto il Covid19 o che sono state vaccinate. Se questa mutazione ad esempio dimezzasse la capacità di un vaccino di prevenire il contagio, automaticamente si amplierebbe la platea dei potenziali ospiti. Adam Kucharski, un epidemiologo matematico alla London School of Hygiene and Tropical Medicine afferma che “Il modo più semplice per il virus di causare nuove epidemie è quello di eludere l’immunità nel tempo. Questo è simile a quello che vediamo con i coronavirus stagionali“.

Fortunatamente non ci sono prove al momento di una diminuzione dell’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme gravi della malattia, ma Omicron è ancora una variante relativamente “giovane” per decretare giudizi definitivi.

Il futuro del virus

Il modo in cui si evolve SARS-Cov-2 ha concrete implicazioni per la sua transizione a virus endemico. E’ probabile che in futuro il virus provochi focolai o epidemie di dimensioni variabili come fanno l’influenza e le altre malattie respiratorie. Per prevedere come saranno queste epidemie, gli scienziati stanno studiando quanto velocemente una popolazione diventa di nuovo suscettibile all’infezione. Il futuro migliore ma alla luce dei fatti altamente improbabile sarebbe seguire il percorso del morbillo dove il vaccino fornisce una protezione a vita e la platea infettabile è di fatto costituita soltanto dalla nascita di nuovi bambini ancora non vaccinati.

Un altro scenario è quello che Covid19 si comporti come un’influenza. In realtà questo percorso evolutivo presenta due scenari distinti. Il virus dell’influenza A, che guida ogni anno le epidemie globali di influenza stagionale, è caratterizzato da una rapida evoluzione e diffusione di nuove varianti in grado di sfuggire all’immunità suscitata dai ceppi passati. Il risultato sono epidemie stagionali, spinte in gran parte dalla diffusione negli adulti, che possono ancora sviluppare sintomi gravi. I vaccini antinfluenzali riducono la gravità della malattia e rallentano la trasmissione, ma la rapida evoluzione dell’influenza A significa che i vaccini non sono sempre ben adattati ai ceppi in circolazione.

Ma se il processo di elusione dell’immunità di SARS-Cov-2 fosse più lento lo scenario prospettabile sarebbe più simile a quello dell’influenza B, questo significherebbe una malattia più indirizzata verso i bambini che gli adulti. La velocità con cui la SARS-CoV-2 si evolve in risposta all’immunità determinerà anche se – e quanto spesso – i vaccini dovranno essere aggiornati. Pfizer e Moderna hanno già anticipato che nella prossima primavera dovrebbe essere disponibile una nuova versione dei vaccini attualmente somministrati in grado di neutralizzare l’azione delle ultime varianti.

Tutto questo ad oggi. Se il mondo ricco ed industrializzato non farà sollecitamente uno sforzo sostanziale per aiutare i paesi i paesi poveri nella campagna di vaccinazione, altre e più pericolose varianti potrebbero emergere costringendo il mondo ad un drammatico gioco dell’oca, ripassando dalla casella “partenza”.

Fonte:

Nature

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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