giovedì, Settembre 19

Il peso dell’Anima

L’enciclopedia Treccani così definisce l’anima: “Nell’accezione più generica, come del resto nella coscienza comune, è il principio vitale dell’uomo (dal lat. anima, affine, come animus, dal gr. ἄνεμος «soffio, vento»), di cui costituisce la parte immateriale, che è origine e centro del pensiero, del sentimento, della volontà, della coscienza morale”.

Da sempre l’anima è il cardine di molte religioni ma anche di filosofi, poeti, scrittori ed artisti in genere che attribuiscono a questa impalpabile presenza tutta una serie di caratteristiche e meriti.

Il concetto di anima compare la prima volta con Socrate, il quale ne fece il centro degli interessi della filosofia. Secondo Platone, l’anima è per sua natura simbolo di purezza e spiritualità, in quanto affine alle idee. Essa infatti non ha un inizio, essendo ingenerata; ed è immortale e incorporea. Per Aristotele invece l’anima non è distinta dal corpo, ma coincide con la sua forma. L’anima per lui rappresenta la capacità di realizzare le potenzialità vitali del corpo, e dunque non è da questo separabile; per conseguenza, sarebbe mortale, anche se si tratta di una conclusione su cui egli non dà un giudizio definitivo.

Come che sia l’interpretazione filosofica o religiosa dell’anima nessuno però è mai riuscito a provarne l’effettiva esistenza.

Il più famoso tentativo di appurarne l’esistenza appartiene probabilmente ad uno spregiudicato medico statunitense Duncan MacDougall (1866-1920). Agli inizi del 1907 egli individuò in un ospedale sei pazienti terminali (uno a causa del diabete, quattro a causa della tubercolosi ed uno per cause sconosciute). Quando uno di questi moribondi pareva essere sul punto di esalare l’ultimo respiro, MacDougall trascinava il suo letto su una bilancia industriale ed aspettava che morisse.

Al termine di questo macabro studio MacDougall calcolò il calo ponderale del peso dei sei cadaveri deducendone orgogliosamente che l’anima pesava 21 grammi. Non contento il medico statunitense uccise sulla bilancia 15 cani non rilevando alcuna perdita di peso nel momento del decesso e confermando quindi le sue convinzioni religiose che gli animali non possedevano un’anima.

 Nel marzo 1907, i risultati di MacDougall vennero pubblicati dal New York Times e dalla rivista di medicina American Medicine. La sua teoria fu però demolita da un altro medico americano Augustus P. Clarke che osservò che al momento del trapasso si registrava un innalzamento della temperatura corporea dovuta al fatto che i polmoni non raffreddano più il sangue e che il conseguente aumento della sudorazione avrebbe facilmente spiegato i 21 grammi mancanti.

Clarke inoltre obiettò anche che i cani non hanno ghiandole sudoripare (per questo hanno sempre la lingua penzoloni) e dunque non c’era da meravigliarsi che il loro peso non subisse variazioni nel momento della morte.

La demolizione della teoria bislacca di MacDougall non ha impedito che 21 grammi diventasse un meme diffuso nella cultura popolare e nell’arte, tanto da ispirare nel 2003 l’omonimo film del regista messicano Alejandro González Iñárritu e sceneggiato da Guillermo Arriaga. 

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