giovedì, Settembre 19

James Brown e il grande live dell’Apollo Theatre

James Joseph Brown, nell’ottobre del 1962 ha ventinove anni ed è già un affermato interprete della della musica gospel, soul e rhythm and blues, propone degli show che sono veri e propri eventi. Tutta la presenza scenica è curata nei dettagli e la band che accompagna i suoi massacranti tour per l’America (300 concerti l’anno), i Famous Flames è quanto di meglio offre il panorama musicale statunitense.

Il 24 ottobre 1962 fa molto freddo al 253 West della 125a Strada, nel cuore di Harlem. Eppure lunghe file di giovani sono incolonnati pazientemente per poter entrare nell’Apollo Theatre, il tempio della musica black, il più famoso club degli Stati Uniti e certamente il più importante al mondo, per quanto riguarda gli spettacoli e i concerti soul, jazz, R&B e funk.

E’ in quel luogo sacro per la musica nera che tra poco si esibiranno molti artisti, ma il clou della serata è senza ombra di dubbio il concerto di James Brown. Il ragazzo di Barnwell, una sonnolenta cittadina della Carolina del Sud, non è ancora al livello di un Sam Cooke o Ray Charles, in quanto a notorietà, ma è un vero animale da palcoscenico.

Nessuno come lui sa esaltare il pubblico con la sua musica, il ritmo e i suoi movimenti ed e per questo che si trova per la seconda volta su quel palco prestigioso. Brown conosce tutti i trucchi per catturare l’anima delle migliaia di giovani neri e bianchi che affollano i suoi concerti, così racconterà anni dopo Robert Palmer, il cantante britannico, alfiere di un pop rock con contaminazioni R&B:

Prima tirava allo spasimo il ritornello ‘implorante’ di Please Please Please , poi si abbassava lentamente sulle ginocchia, contorcendosi al ritmo un po’ sinistro del pezzo, fino a crollare esausto come un mucchietto di ossa senza vita, continuando però a cantare. A quel punto si avvicinavano i Famous Flames, quasi timorosi. Uno di loro estraeva un mantello color porpora, coprendo con cura il corpo immobile del leader, poi lo aiutava a rialzarsi per accompagnarlo lentamente fuori. Brown, ancora con il microfono in mano, strascicava i piedi e faticava vistosamente ma, dopo una pausa di grande teatralità, si liberava d’improvviso del mantello e ritornava a grandi passi verso il centro del palco per lanciarsi in un altro breve ritornello e crollare di nuovo sulle ginocchia, con la voce ormai ridotta a un rauco singhiozzo. A quel punto la scena si ripeteva, questa volta con un mantello dorato: Brown attendeva fino all’ultimo per liberarsi dei suoi accompagnatori, ritornare a cantare davanti al pubblico e fingere un altro collasso. Alla fine faceva la sua comparsa un simbolico mantello nero e il cantante, con i fedeli assistenti, abbandonava definitivamente la scena mentre la band imperterrita continuava a suonare”.

James però ha un cruccio, da tempo desidera, sul solco da quanto fatto negli anni Cinquanta dal grande Ray Charles, registrare un concerto live ma il suo agente discografico Syd Nathan non ne vuol sapere. I live nei concerti rock e R&B praticamente non esistono perché come dice categorico Nathan “a nessuno interessa riascoltare su disco quello che può vedere ogni sera in scena”.

Brown però è caparbio e assolda un tecnico per registrare quello show all’Apollo, con un piccolo Ampex e otto microfoni disposti strategicamente. Da quel materiale estrae un LP di 32 minuti pronto per uscire nell’estate del 1963. Di malavoglia Nathan, prendendo una clamorosa cantonata, ne fa stampare soltanto 5000 copie.

L’album è un vero trionfo. Rimarrà in classifica per 66 settimane, emergendo non soltanto in quelle rythm and blues ma anche in classifica generale, dove raggiungerà uno straordinario secondo posto. Le radio contribuiranno a crearne la leggenda mandando in onda in continuazione pezzi come Try Me o I’ll Go Crazy o il lungo medley che verso la fine dello show cuce suggestivamente alcune delle canzoni più belle.

«L’Apollo Theater l’ho sempre considerato il grande giudice. Prima che ci arrivi, prima del giorno in cui ti è consentito finalmente il privilegio di salire sul suo palco, sei in libertà vigilata. Non ti sei ancora fatto il mazzo a sufficienza, ma diciamo che ti sei qualificato per un concerto al Grande Apollo. Dopo che ti sei esibito sul suo palco leggendario, dopo che sei sopravvissuto per raccontarlo sei, secondo la mia definizione, rilasciato per buona condotta. Ok a chiamata hai risposto, hai fatto tutto per bene, ora sei libero».

Questo scriverà nella sua auto biografia James Brown su quella serata memorabile, in quel luogo leggendario che ha cambiato per sempre la musica R&B e soul e fatto di lui un’icona della musica.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Storia leggendaria della musica rock

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