Jean Renoir, il cantore del realismo poetico

Il cinema moderno deve quasi tutto al realismo poetico una corrente cinematografica che si sviluppa nella Francia degli anni trenta. Erede delle avanguardie francesi del decennio precedente, il realismo poetico congiunge armoniosamente il racconto con l’introspezione, il contenuto narrativo con con gli stati d’animo e i sentimenti dei protagonisti. Sana finalmente quella dicotomia che si era aperta in quegli anni tra il cinema americano, rigidamente imperniato sul racconto e quello europeo che grazie a movimenti come il futurismo e il surrealismo, percorre la strada del simbolismo e dell’immagine che si auto racconta.

Il cantore del realismo poetico

Uno degli interpreti più rappresentativi del realismo poetico è senz’altro Jean Renoir. Nato a Parigi il 15 settembre 1894 è figlio di Pierre-Auguste Renoir, uno dei massimi pittori impressionisti e da lui eredita tutta la sensualità e l’amore per la vita. I primi passi di Jean nella Settima Arte si muovono all’interno delle avanguardie francesi ma ben presto passa a narrative più tradizionali, all’interno delle quali dissemina momenti sospesi e poetici, dove la narrazione rallenta o si ferma per lasciarci guardare i personaggi e il loro mondo, attraverso lo specchio delle loro emozioni.

Già nel 1926, con Nana, tratto dall’omonimo romanzo di Emile Zola, ci consegna il primo vero ritratto a tutto tondo della storia del cinema di una donna sensuale interpretata da sua moglie Cathérine Hessling.

Negli anni trenta Renoir realizza i suoi film più belli: Toni (1934), una tragedia di poveri contadini, e poi La scampagnata (da Maupassant, girato nel 1936 e concluso nel 1946), una splendida metafora della vita, in cui due giovani, un uomo e una donna, che si incontrano casualmente durante una gita in campagna e dopo un solo bacio, frutto di un’irresistibile e imprevista attrazione, sono separati dall’onde inarrestabili di differenti destini.

Lo strumento del realismo poetico: la soggettiva

Renoir dispiega il suo realismo poetico attraverso il sapiente uso della manipolazione soggettiva delle inquadrature, cioè il mostrare con la soggettiva non solo quello che il personaggio in quel momento vede (“soggettiva contenutistica“), ma anche il sentimento che sta provando, lo stato d’animo (“soggettiva stilistica“).  I due film più importanti e noti del grande regista francese sono però La grande illusione (1937) e La regola del gioco (1939).

La grande illusione

La Grande Illusione è probabilmente il capolavoro di Jean Renoir, un film pacifista, un vero e proprio inno contro l’assurdità della guerra. La storia raccontata si svolge in un campo di prigionia tedesco durante la Grande Guerra, tra il 1915 ed il 1918. I protagonisti sono l’aristocratico Boeldieu interpretato da un impeccabile Pierre Fresnay, il tenente Marechal con il volto della stella del cinema francese Jean Gabin e il comandante tedesco del campo di prigionia, il Capitano von Rauffenstein che si avvale di una magistrale interpretazione del grandissimo Erich Von Stroheim.

La genesi de La Grande Illusione inizia nel 1934 e per Renoir non sarà affatto facile trovare i finanziamenti per il film. Decisivo fu il ruolo svolto da Jean Gabin che partecipò a quasi tutti gli incontri di fund raising, come diremmo oggi, garantendo con la sua fama e il suo prestigio il progetto di Renoir. Gli interni furono girati durante l’inverno 1935-1936 negli studi di Billancourt e Éclair a Épinay-sur-Seine; gli esterni nei dintorni di Neuf-Brisach (Alto Reno), nel castello di Haut Koenigsbourg (Basso Reno), nella caserma di Colmar, in una fattoria di Ribeauvillé e a Chamonix per l’ultima scena. Gli operatori alla ripresa furono il nipote del regista Claude Renoir – che lavorava con lui dal 1933 – e, quando questi dovette abbandonare il set per motivi di salute, Jean-Serge Bourgoin.

La prima si tenne il 4 giugno 1937 al cinema Marivaux di Parigi ed ebbe un’accoglienza strepitosa anche oltre oceano, tanto che il grande John Ford dichiarò: “È una delle cose migliori che ho visto” e il presidente Franklin D. Roosevelt ne raccomandò la visione ai suoi concittadini. Fu invece osteggiato per il suo spirito antimilitarista dai nazisti che lo misero al bando sia in Germania che nei paesi che di volta in volta occuparono durante il corso della Seconda Guerra Mondiale.

La regola del gioco

Non meno importante e significativo per l’intera storia del cinema è La regola del gioco, un film corale, senza un vero e unico protagonista, dove spiccano i ruoli e le storie di ben otto attori. Di questo film che trae ispirazioni da De Musset, Marivaux e Moliere, Renoir disse: «Lavorare a questa sceneggiatura mi ha ispirato il desiderio di dare un colpo di timone, di allontanarmi, forse del tutto, dal naturalismo, per abbordare un genere più classico e poetico.»

Il film è una tragica commedia degli equivoci, ambientata in una ricca villa, dove i sogni di eguaglianza, libertà, amore e amicizia e i giochi oziosi degli aristocratici si mescolano in un caos comico-tragico che alla fine porta alla morte del più debole, un innocente.

L’esilio americano

Nel 1941 in seguito all’occupazione nazista della Francia Renoir espatrierà negli Stati Uniti, non conosce neppure una parola d’inglese. Finita la guerra mentre altri registi transalpini che erano espatriati tornarono subito in Francia, Renoir dovette fermarsi per difendersi dall’accusa di bigamia. Infatti negli Stati Uniti d’America, aveva spostato nel 1944, Dido Freire, senza aspettare le carte del divorzio da Catherine, avvenuto nel 1930 ma non trascritto.

Gli ultimi anni

Tornato in patria realizzò ancora una mezza dozzina di film, tra cui meritano una citazione , French Cancan (1955) con Jean Gabin e Françoise Arnoul, Eliana e gli uomini (1956) con Ingrid Bergman e Jean Marais. Agli inizi degli anni Sessanta per Renoir diventa sempre più difficile trovare dei produttori che finanzino i suoi film e pertanto si ritirerà dal cinema dedicandosi alla letteratura. Nel 1970 tornarà in America ritirandosi a Beverly Hills, dove morì nel 1979. La salma venne poi traslata in Francia e riposa nel cimitero di Essoyes.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Bernardi, Sandro. L’avventura del cinematografo

Natale Seremia

Appassionato da sempre di storia e scienza. Divoratore seriale di libri e fumetti. Blogger di divulgazione scientifica e storica per diletto. Diversamente giovane. Detesto complottisti e fomentatori di fake news e come diceva il buon Albert: "Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, riguardo l’universo ho ancora dei dubbi."

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