giovedì, Settembre 19

La cassatta degli attrezzi di un archeologo

Può sembrare strano, ma ancora nel Ventunesimo Secolo, gli attrezzi con cui si procede per uno scavo archeologico sono semplici e collaudati manufatti che costano poche decine di dollari. Quando si affrontano aree estese di scavo gli archeologi usano ancora attrezzi come pale, picconi e carriole.

Il lavoro di precisione si esegue con mini-picconi e cazzuole, mentre si usano strumenti da dentista e spazzolini per operazioni estremamente delicate, ad esempio dissotterrare scheletri e altri reperti organici come semi, noci oppure ossia di animali. Più complicato invece è capire cosa si sta scavando, se ad esempio siamo dentro un edificio antico o fuori da esso o ancora affrontare le spinose questioni legate alla stratigrafia dell’area di scavo.

Il piccone viene usato ancora moltissimo soprattutto nell’area del Mediterraneo. Il segreto della picconatura e di non alzare il piccone sopra il livello dei fianchi, bensì farlo penetrare a terra lasciando che scenda per la forza di gravità, anziché sollevarlo sopra la testa e colpire con veemenza. Si eviterà in questo modo il pericolo di farsi seriamente male o di danneggiare qualche reperto per un eccesso di forza.

Lo strumento immancabile in qualunque cassetta degli attrezzi di un archeologo è la cazzuola, ovviamente non una qualsiasi, comprata dal ferramenta sotto casa, ma una Marshalltown o una WHS, solitamente la prima più diffusa tra gli americani e la seconda tra i britannici e nel resto d’Europa. Non sono costose: non arrivano a venti dollari, custodia di pelle compresa.

L’organizzazione che ha la responsabilità dell’area di scavo fornisce agli archeologi anche i mini picconi (costo circa 60 dollari) ed anche tutte le palette, le spazzole e i metri a nastro. Insieme a cazzuole e mini-picconi, questi sono gli strumenti di uso quotidiano. Soprattutto nell’area mediterranea viene utilizzato un sistema di colori per contrassegnare i secchi riempiti dai prodotti di scavo che talora soprattutto quando si scava su un pavimento antico vengono ulteriormente filtrati alla ricerca di oggetti più piccoli sfuggiti alla prima fase di scavo.

Una regola aurea quando emerge un reperto durante lo scavo è non estrarlo fintanto che non si sia liberato del tutto ed emerga completamente dal contesto in cui era collocato. E’ infatti fondamentale capire il contesto del ritrovamento dell’oggetto per poterne apprezzare compiutamente la provenienza e la funzione. L’oggetto può trovarsi in un contesto primario, secondario o perfino terziario. Se diciamo che qualcosa è stato recuperato in un contesto «primario», significa che l’abbiamo scoperto proprio là dove fu depositato in origine, e che da allora non è più stato né mosso, né disturbato. Se invece un manufatto è ritrovato in un contesto «secondario», riteniamo che qualcuno o qualcosa l’abbia spostato o scomodato dopo una prima sepoltura.

Le modalità di scavo di un sito sono sostanzialmente due: lo scavo orizzontale e quello verticale. La prima tecnica consente di capire la configurazione generale del sito nel suo insieme: dove si svolgevano le varie attività, dove la gente viveva, lavorava, pregava e veniva sepolta.

L’altra opzione principale consiste nell’eseguire uno scavo verticale, cioè scavare in profondità in alcuni punti per farsi un’idea della sequenza cronologica o delle proporzioni del sito. Può rivelarsi un modo efficace per gettare uno sguardo alla stratigrafia che si potrebbe incontrare nel caso poi si decida di scendere più a fondo. In tal caso si selezionano poche aree limitate nelle quali procedere alla maggiore profondità possibile.

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