giovedì, Settembre 19

La fine del silenzio

Anche al netto degli esseri umani e delle sue invasive attività il mondo non sarebbe un luogo silenzioso o per essere più preciso un pianeta popolato da creature silenti. Persino nelle città i versi degli uccelli, quelli degli animali domestici (cani e gatti su tutti) costituiscono una componente fondamentale della “voce della natura“.

Non sempre però è stato così. La vita sulla Terra è iniziata circa 3,7 miliardi di anni fa, ma quei primissimi organismi viventi non producevano alcun “suono”. Dobbiamo attendere l’esplosione evolutiva del periodo Cambriano, tra 541 e 484,4 milioni di anni fa, affinché gli animali acquisissero semplici comportamenti di produzione dei suoni legati alla locomozione e alla predazione. Anche in questo periodo però queste creature che vivevano essenzialmente sott’acqua il massimo del rumore che producevano era qualche “strisciata” lungo il fondale marino o quello causato da un cefalopode che rompeva una conchiglia. Niente di più. Insomma un mondo vivente ancora silente.

Ci vollero altri 200 milioni di anni prima che il ronzio degli insetti riempisse il nostro pianeta, introducendo un “rumore” diverso. L’insetto più antico che conosciamo risale a 408 milioni di anni fa ed era probabilmente sordo e incapace di emettere suoni. I primi insetti ronzanti, tra i quali le cavallette, godevano di enormi vantaggi evolutivi dalla loro capacità di produrre rumore. Tra questi la possibilità di comunicare a distanza, di “avvisare” per l’arrivo di un predatore e perfino, forse, di attirare una preda imitandone il verso.

I vertebrati iniziarono a sperimentare i primi suoni, più o meno nella stesso momento degli insetti “ronzanti”. Anfibi, rettili e mammiferi odierni hanno tutti una laringe che deriva dal loro ultimo comune antenato e che, quindi, dovrebbe risalire a circa 300 milioni di anni fa. Ma è altamente probabile che questi animali abbiano impiegato svariati milioni di anni, prima che l’evoluzione, li mettesse nelle condizioni di effettuare i primi vocalizzi. Quello che sappiamo con sufficiente certezza e che circa 230 milioni di anni fa, nell’era mesozoica, i vertebrati evolvettero numerose abilità vocali. È in questo periodo di tempo che il mondo divenne effettivamente “rumoroso”.

Anche i mammiferi in quest’epoca diedero il loro contributo alla cacofonia di suoni che investirà il mondo. I fossili non ci hanno aiutato molto in questa prima fase a scoprire le effettive capacità vocali di questi animali ma, indirettamente, lo studio delle orecchie dei mammiferi ci permette di essere certi della loro capacità di udire suoni ad alta frequenza. Questa caratteristica fa ragionevolmente suppore che i mammiferi di allora potessero essere in grado di produrre suoni ad alta frequenza.

Tra gli animali del Mesozoico più dotati dal punto di vista uditivo c’erano i dinosauri. Nel 1981 David Weishampel scprì che il dinosauro con il becco d’anatra Parasaurolophus aveva sulla testa una cresta gigante collegata con le vie aeree. Questa cresta era un’ottima cassa di risonanza e stimandone forma e dimensioni Weishampel fu in grado di riprodurre il repertorio sonoro del dinosauro con il becco ad anatra. La ricostruzione dei vocalizzi dei dinosauri è da tempo un aspetto molto serie nel cinema, perlomeno dall’inizio della saga di “Jurassic Park”.

Alcuni ricercatori dell’Università del Texas ad Austin hanno scoperto che l’iconico Tyrannosaurus Rex faceva dei versi più simili a quelli degli uccelli che a quelli dei mammiferi. In altri termini producevano il suono attraverso il naso piuttosto che dalla bocca. Questo non significa che il verso del T-Rex fosse uno starnazzio querulo, data la conformazione e le dimensioni del bestione, ci troviamo di fronte a possenti toni da basso-baritono, in tutto degni di un’intera sezione di ottoni di un’orchestra sinfonica.

Le dimensioni però non significano automaticamente potenza nell’emissione dei suoni, i brachiosauri dal collo lungo, un bestione da 50 tonnellate e alto 13 metri, nel primo “Jurassic Park” barriva come una piccola mandria di elefanti. In realtà molto probabilmente erano quasi privi di voce e il massimo dei versi che avrebbero potuto emettere erano dei sibili.

Per la struttura del nervo laringeo ricorrente i segnali devono viaggiare per circa il doppio della lunghezza del collo. Questo “limite” in un essere umano è quasi ininfluente, in un gigantesco dinosauro dal collo lungo, questo ritardo invece sarebbe stato tale da impedire il controllo corretto del movimento rapido delle corde vocali essenziale durante le vocalizzazioni complesse come il barrito o lo starnazzo.

Un gruppo di dinosauri ha invece sviluppato un sofisticato apparato di vocalizzazioni. I loro eredi sono ancora tra noi: gli uccelli. L’organo vocale degli uccelli è la siringe, una struttura cartilaginea posta in fondo alla trachea, al contrario della laringe che si trova sopra la trachea. La siringe e talvolta alcune sacche circostanti risuonano alle onde sonore prodotte dal passaggio forzato di aria attraverso delle membrane. Gli uccelli controllano l’intonazione cambiando la tensione sulle membrane e controllano sia l’intonazione che il volume cambiando la forza di esalazione. Inoltre possono controllare i due lati della trachea indipendentemente, con la possibilità di produrre due note diverse contemporaneamente.

Gli scienziati non conoscono ancora l’origine della siringe. La più antica siringe aviaria conosciuta appartiene ad un uccello ormai estinto e vissuto durante l’ultima parte del Cretaceo tra 66 e 69 milioni di anni fa. Si tratta di una siringe però già molto specializzata il che fa supporre che deve essere esistito un organo meno evoluto in precedenza. Gli pterosauri non avevano la siringe ed è probabile che essi emettessero versi più simili ai rettili che agli uccelli. Sibili, schicchi e perfino grugniti questi potrebbero essere stati i vocalizzi dei pterosauri.

Questi animali furono i primi vertebrati conosciuti per essersi evoluti ed adattati al volo battente. Le ali degli pterosauri sono formate da una membrana di pelle, muscoli e altri tessuti che si estendeva dalle caviglie al quarto dito della mano, che era notevolmente allungato, irrigidito e resistente. Le primissime specie avevano lunghe mascelle armate di denti e lunghe code rigide, mentre le forme più evolute avrebbero perso i denti in favore di un becco sdentato e la coda si sarebbe notevolmente ridotta per favorire un maggiore controllo del volo. 

Con l’avvento dell’era cenozoica poi emerse una nuova capacità di usare l’emissione sonora: l’ecolocazione. Pipistrelli e balene “impararono” a vedere attraverso il suono. I pipistrelli, ad esempio, producono ultrasuoni per mezzo della laringe ed emettono il suono dal naso o, più comunemente, dalla bocca aperta. L’intervallo di frequenza dei suoni prodotti dai pipistrelli va da 14000 a ben più di 100000 Hz, molto al di là della capacità dell’orecchio umano, che percepisce suoni con una frequenza che va da 20 a 20000 Hz. Alcune specie di pipistrelli ecolocalizzano utilizzando uno specifico intervallo di frequenza che si adatta al loro ambiente e alle loro prede.

L’evoluzione dell’ecolocazione ha segnato una rivoluzione ecologica fondamentale: i vertebrati potevano cacciare insetti al volo nella totale oscurità. Grazie a questa innovazione evolutiva i pipistrelli prosperarono e oggi costituiscono circa il 25% delle specie di mammiferi.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Le Scienze, marzo 2022, ed. cartacea

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