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La guerra nel deserto

Combattere nel deserto dell’Africa Nord orientale non fu uno scherzo, né per i soldati dell’Asse né per i britannici anche se non si raggiunsero le condizioni estreme che dovettero sopportare le truppe in Russia o in Birmania. La scarsità d’acqua era un problema cronico. Un ufficiale italiano scrisse “siamo assaliti da milioni di mosche, sembra che abbiamo sempre la bocca, gli occhi e i capelli pieni di sabbia e non è possibile trovare un po’ di fresco”.

Dentro i carri armati la temperatura spesso sfiorava i 50° ed aprire i portelli serviva solo a far entrare sabbia e polvere. I soldati inglesi ricevevano ogni giorno due pinte d’acqua (circa un litro) insieme ad un robusto quantitativo di té preparato in vecchie taniche vuote di carburante sopra un fuoco alimentato da benzina e sabbia. Mangiavano soprattutto carne in scatola, gallette e frutta sciroppata.

I tedeschi (ed ancora di più gli italiani) se la passavano molto peggio, tanto che i soldati dell’Afrika Korps facevano festa quando riuscivano a mettere le mani su qualche deposito dell’Ottava Armata britannica. In particolare saccheggiavano le generose scorte di sigarette dei soldati inglesi particolarmente ambite.

Gli uomini impararono presto quanto il deserto fosse pericoloso ed infido come teatro di combattimento. In alcuni punti il deserto era liscio e compatto, in altri soffice come melassa per chilometri. Altri tratti ricoperti di ciottoli sembravano buoni per i mezzi meccanizzati ma non era raro che terminassero bruscamente finendo per imprigionare nella sabbia camion e piccoli blindati.

Come se non bastasse dopo mesi di campagna e scaramucce non era raro che gli eserciti contrapposti utilizzassero veicoli e persino carri armati conquistati all’avversario creando panico e confusione in non poche occasioni. La divisione italiana “Bologna” un giorno cadde in preda al panico quando si accorse di una colonna di camion inglesi che si era unita alle proprie forze finché non scoprirono che quei mezzi trasportavano soldati tedeschi.

Tra un’offensiva e l’altra ci furono lunghi intervalli di noia, addestramento e preparazione. I soldati soffrivano di piaghe da deserto, itterizia e dissenteria. Entrambi gli schieramenti impararono a maledire le tempeste di sabbia, che gli italiani chiamavano ghibli, che riempivano di polvere giallastra ogni fessura di veicoli, attrezzature e corpi e riduceva la visibilità quasi a zero.

Nelle pause tra una battaglia e l’altra c’erano pochi diversivi, soprattutto per i soldati dell’Asse, tanto che ricevere la posta da casa e scrivere quasi ogni giorno una lettera ai propri cari occupava gran parte del tempo libero dei soldati. Un po’ meglio andava per i soldati dell’Ottava Armata a cui ogni tanto venivano concesse brevi licenze al Cairo, situata nelle profonde retrovie dello schieramento britannico. Una città che presto impararono ad odiare.

Una città calcinata dal sole, in cui dominava uniformemente un colore bianco ed una massa di polvere che ammantava edifici e strade di uno squallore impressionante. Gruppi di militari britannici percorrevano le vie del Cairo, con le uniforme caki sbiadite e lise, la fronte imperlata di sudore, la pelle rosea bruciacchiata dal sole impietoso e grossi aloni di sudore che si spandevano sotto le ascelle. Molto meglio andava per gli ufficiali che frequentavano ritrovi esclusivi come Groppi al Cairo e Pastroudi ad Alessandria d’Egitto. La truppa conosceva invece soltanto i più sordidi bordelli ed i bar più malfamati del Cairo, con il risultato di una crescita esponenziale delle malattie veneree tra i soldati dell’Ottava Armata.

Per i soldati italiani la campagna del Nord Africa fu un incubo fin dall’inizio dell’ennesima avventura improvvida ed intempestiva di Mussolini. Scarsità di cibo, munizioni, armi ed una crescente sfiducia sul senso di questa impresa resero la vita dei soldati italiani la più dura tra tutti i belligeranti del teatro nord africano.

I soldati italiani non potevano osservare che con rancore, la disparità tra le loro misere razioni alimentari e quelle degli ufficiali a cui arrivavano con voli aerei dall’Italia anche il vino e l’acqua minerale. Molto apprezzate erano le periodiche visite delle crocerossine che portavano i pacchi dono preparati da parenti ed amici in Italia. La fonte principale per avere un po’ di cibo migliore però era rappresentato dal nemico, al termine di qualche incursione vittoriosa le razioni alimentari britanniche decisamente superiori a quelle italiane diventavano il bottino di guerra più ambito.

N.B. nella foto un Panzer III dell’Afrika Korps

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

View Comments

  • Ottima ,tridimensionale descrizione. Quasi come esserci stati. Difficolta continue per uomini e veicoli.
    Ma da dove venivano le banane, che sulle navi in convoglio che rifornivano o tornavano dall^l África, c^erano spesso sotto le cuccette degli ufficiali di bordo?

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