lunedì, Settembre 16

La plasticità cerebrale

L’intuizione che l’encefalo muta in maniera dinamica, in base all’attività dei propri neuroni, correlata ad esempio a stimoli ricevuti dall’ambiente esterno o in reazione a lesioni traumatiche o modificazioni patologiche e naturalmente in relazione al processo di sviluppo dell’individuo la dobbiamo ad un crudele esperimento, che oggi susciterebbe reazioni indignate da parte degli animalisti.

L’autore di questo esperimento è Michele Vincenzo Giacinto Malacarne, detto più brevemente Vincenzo, nato a Saluzzo il 28 settembre 1744. Anatomista e chirurgo, figlio d’arte, Vincenzo Malacarne nel 1785 alleva due cani della stessa cucciolata e alcune coppie di uccelli della stessa nidiata. Per i successivi due anni allena un solo animale per ogni coppia, lasciando gli altri privi di qualunque stimolo. Quindi uccide tutti gli animali, seziona le loro scatole craniche e mette a confronto i rispettivi cervelli.

Quello che Malacarne scopre rivoluzionerà le conoscenza sul funzionamento del nostro encefalo: il cervelletto degli animali che avevano ricevuto un costante allenamento erano di dimensioni maggiori di quelli che non erano stati oggetto di stimoli. In altre parole, Malacarne aveva scoperto che le esperienze sensoriali cambiano fisicamente la struttura cerebrale.

Il paradosso di questa fondamentale scoperta è che per quasi due secoli non ottiene l’attenzione che meriterebbe, probabilmente per l’errata ma radicata convinzione della sostanziale immobilità dell’apparato cerebrale. Oggi sappiamo che il cervello non soltanto cambia, ma cambia per tutto l’arco della vita. Basta leggere, assistere ad una conferenza, impegnarsi in un’attività intellettualmente stimolante per sollecitare l’attività delle cellule neuronali che formano più sinapsi tra di loro in ambienti arricchiti, durante l’apprendimento e in caso di riorganizzazione cerebrale. La deprivazione sensoriale, i traumi e i danni cerebrali sono invece degli eventi negativi per il sistema nervoso centrale.

Questa peculiare caratteristica evolutiva si chiama plasticità ed è alla base dei sistemi integrati di memoria ed apprendimento. La possiedono tutti gli animali anche se in misura molto inferiore all’uomo. La plasticità aggiunge nuove connessioni neuronali, tramite i terminali degli assoni da un lato, o le ramificazione dei dendriti e delle loro spine dall’altro. Circuiti neuronali e sinapsi si riorganizzano senza posa per consentire al cervello di imparare da tutto quel che lo circonda.

Questo processo ci permette di rispondere ad un’annosa questione: conta di più la natura imposta dal DNA o la cultura che si stratifica con l’apprendimento dall’ambiente esterno? Grazie alla plasticità possiamo serenamente rispondere che contano entrambe.

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