giovedì, Settembre 19

La resa incondizionata del Terzo Reich

Sono passati pochi minuti dopo mezzanotte, quando il 7 maggio 1945, nella stazione radio di Flensburg, sede del governo provvisorio tedesco, giunge il messaggio con il quale il colonnello generale Jodl aveva inviato dal quartier generale di Eisenhower la richiesta dei pieni poteri per la firma della resa incondizionata.

Fallito ogni tentativo di giungere ad una pace separata con le forze americane, anche il “falco” Jodl si era convinto che non c’era altra strada percorribile se non quella di una capitolazione generale e senza condizioni delle forze armate tedesche. Il grandammiraglio Dönitz riunì subito i suoi collaboratori più stretti per un esame della situazione e nonostante la rabbia per il “ricatto” americano che minacciava in caso di prosecuzione del conflitto una serie di rappresaglie tra cui quella di consegnare ai russi i soldati tedeschi che si trovavano ancora ad est delle sue linee, emerse l’ineluttabilità della resa senza condizioni.

La data fissata per l’entrata in vigore sul campo della capitolazione generale era la mezzanotte ed un minuto del 9 maggio (ora legale tedesca). Questo conferiva a Dönitz quasi 48 ore di tempo per cercare di salvare quanti più unità possibili di quelle impegnate sul fronte orientale. Dopo meno di un’ora dall’arrivo del radiogramma di Jodl, Dönitz inviava allo stesso la risposta che concedeva al colonnello generale i pieni poteri per la firma della resa.

A Reims intanto si allestiva la scena dove firmando la resa incondizionata la Germania nazista metteva fine alla sanguinosa e drammatica guerra che aveva sconvolto l’Europa e il mondo per sei anni. Alle 2.41 Jodl, in presenza dell’ammiraglio generale von Friedeburg e del maggiore Wilhelm Oxenius, appose la sua firma sull’atto di capitolazione. Per il corpo di spedizione alleato firmarono il generale Walter Bedell Smith, per il comando supremo sovietico il generale Ivan Susloparov e, come testimone, il maggiore generale dell’esercito francese François Sevez.

Jodl al margine della firma fece una breve dichiarazione appellandosi alla generosità dei vincitori: “La Wermacht e il popolo tedesco con la sua firma si consegnavano alla mercé dei vincitori. Entrambi hanno dato e sofferto forse più di qualsiasi altro popolo del mondo. Da questo momento altro non mi rimane se non sperare nella magnanimità dei vincitori”.

Solo dopo la conclusione della cerimonia opportunamente immortalata per la Storia gli emissari tedeschi furono portati alla presenza del Comandante Supremo Alleato Dwight Eisenhower che fino a quel momento si era rifiutato di incontrarli. Il comandante americano chiese agli ufficiali tedeschi se avessero ben compreso ogni parte del documento che avevano firmato e se erano pronti ad attuarlo integralmente e senza alcuna modificazione. Jodl e gli altri ufficiali risposero affermativamente, fecero il saluto militare e lasciarono la sala dove erano stati ricevuti.

L’articolo 1 del documento di resa sanciva che la capitolazione tedesca era senza condizioni e generale, valevole quindi anche sul fronte orientale. Nell’articolo 2 il Comando Supremo tedesco si impegnava a impartire a tutte le forze armate l’ordine di cessare le ostilità alle 23.01 dell’8 maggio, ora dell’Europa centrale (o il 9 maggio alle 00.01, ora legale tedesca) e di restare sul posto occupato in quel momento.

Il documento ufficiale e completo di resa fu ricevuto da Dönitz poco prima delle 11 e quasi immediatamente fu trasmesso alle unità della Wehrmacht via radio e via telefono. Inoltre, corrieri incaricati dal grandammiraglio raggiunsero in aereo i comandanti in capo dei gruppi d’armate per spiegare a tutti l’ineluttabilità di questa decisione e le modalità della resa.

Alle 12.45, Schwerin von Krosigk, capo del governo provvisorio tedesco, parlando alla radio affrontò il tema della capitolazione tedesca. Il suo fu discorso nel quale si mescolarono temi della retorica nazionalsocialista con una prima, prudente presa di distanza da quello che iniziava ad essere un “tragico passato“.

Dopo un’eroica lotta durata sei anni con impareggiabile durezza, la forza della Germania ha dovuto soccombere alla preponderanza nemica. Continuare la guerra avrebbe prodotto soltanto inutile spargimento di sangue ed inutili distruzioni. Un governo che senta la responsabilità di fronte al futuro del nostro popolo doveva trarre le conseguenze dalla disfatta e riunire tutte le forze fisiche e morali a sua disposizione per chiedere al nemico la cessazione delle ostilità”. Nessuno doveva farsi illusioni, sarebbero stati tempi ancora più duri e a tutti i tedeschi si sarebbero richiesti grandi sacrifici. Tuttavia non bisognava disperare né cadere nella rassegnazione. A questo proposito Schwerin von Krosigk evocò il “pensiero della comunità popolare” che in guerra aveva “trovato la sua più bella espressione nel cameratismo al fronte, lontani dalla famiglia, e nel reciproco aiuto nell’interno.

Dobbiamo mettere la giustizia alla base della nostra vita […], riconoscendola e accettandola anche come base nelle relazioni tra i popoli, per convinzione profonda. Il rispetto di fronte ai patti conclusi deve essere per noi tanto sacro quanto il sentimento disperare né cadere nella rassegnazione. A questo proposito Schwerin von Krosigk evocò il “pensiero della comunità popolare” che in guerra aveva “trovato la sua più bella espressione nel cameratismo al fronte, lontani dalla famiglia, e nel reciproco aiuto nell’interno”.

Alle 16 del 7 maggio un provato Alfred Jodl tornò a Flensburg per relazionare a Donitz di quanto avvenuto a Reims poche ore prima, i due convennero che non c’era altra scelta se non quella della resa generale e senza condizioni. Jodl in quel momento non lo sa, ma gli resta da vivere poco più di un anno, processato a Norimberga, ritenuto responsabile, insieme con Keitel, della condotta tenuta dalla Wehrmacht nei confronti delle popolazioni dei paesi occupati e dei prigionieri di guerra fu messo a morte per impiccagione, il 16 ottobre 1946.

Due giorni prima dell’esecuzione così scrisse alla moglie:

«S’è fatto tardi e presto qui si spegneranno le luci. Quando, la sera dopo la mia morte, i nostri amici verranno a trovarti, quello sarà il mio corteo funebre. La mia bara sarà su un affusto di cannone e tutti i soldati tedeschi marceranno assieme a me: davanti quelli caduti in battaglia e dietro, al loro seguito, quelli ancora in vita».

In questa frase c’è tutto il dramma di una guerra scatenata dal furore nazionalistico di uno dei regimi più spietati della storia dell’umanità.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

8 giorni a maggio di V. Ullrich

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