giovedì, Settembre 19

La riscossa della Chiesa latina

La profonda influenza della religione nella società medievale è un fatto acclarato. Tempo e spazio della vita sono scanditi da uno stretto rapporto tra l’uomo e Dio, mediato dalla Chiesa. Nell’universo del cristiano latino, tutto era chiaro e ordinato, ogni azione, aspettativa, desiderio proiettato verso la Salvezza dell’anima, una volta conclusasi la parentesi terrena. Il solo mondo concepibile per un cristiano dell’Occidente era quello promesso dalla fede e subordinato alla Chiesa.

La Chiesa rialza la testa

Eppure nonostante il ruolo e l’influenza che la Chiesa esercita per tutto l’Alto Medioevo nella vita delle persone, essa di fatto soggiace ad un altro potere, quello temporale dell’Impero e dell’alta aristocrazia. Dagli inizi del IX secolo però, in seguito alla suddivisione dell’impero carolingio e alla frammentazione dell’autorità laica, sembra che nessun potere centrale, soprattutto in Francia e in Italia, sia in grado di assicurare ordine e stabilità.

Un processo, che pare inarrestabile, trasferisce l’autorità pubblica nelle mani di poteri locali e regionali, alimentando così un clima di anarchia e instabilità. È in questo nuovo scenario che la Chiesa di Roma, che mantiene una vocazione universalistica, inizia ad aspirare di mettersi alla testa della società non soltanto dal punto di vista spirituale ma anche da quello politico.

Un nuovo ordine sociale

Si precisa e si finisce di elaborare una nuova composizione sociale della Cristianità, divisa in tre ordini: coloro che pregano (gli oratores, gli uomini di Chiesa), quelli che fanno la guerra (i bellatores) e quelli che assicurano le risorse di base agli altri due ordini, contadini e artigiani (i laboratores). Questi ordini sono soggetti a precise linee gerarchiche ma anche di solidarietà trasversale, in quanto ognuno di essi è indispensabile per una società ordinata, prospera e sicura.

Non è difficile intuire che quest’ordine sociale richiama figurativamente la Santissima Trinità, il Dio unico e trino che governa la vita degli uomini. Contestare questo ordinamento quindi è un affronto diretto al Signore e alla sua Chiesa. Naturalmente questa visione del mondo appartiene alla coscienza di un ristretto numero di persone, aristocratici, prelati e intellettuali. Le masse artigiane e contadine, impegnate in una dura lotta quotidiana per la sopravvivenza, non avevano la minima idea di questa configurazione social-religiosa. Gli alfieri di questo nuovo ordine sociale, che per la verità aveva antiche radici indoeuropee, erano i monaci.

Il potere monastico

I monasteri erano in qualche modo la manifestazione terrena di questo costruzione sociale. Al vertice della quale ci sono i monaci con il fondamentale incarico di intermediare l’uomo con Dio, attraverso la preghiera. Sotto di loro tutto quel vasto mondo costituito da artigiani, contadini e servi che lavorano per il monastero garantendone la sopravvivenza. Il fenomeno monastico diventa in quegli anni così forte, radicato e interconnesso che accresce non soltanto il potere religioso ma anche quello patrimoniale della Chiesa.

L’insofferenza verso l’immoralità degli uomini di Dio

Si afferma in quegli anni la volontà di molti esponenti della Chiesa di affrancarsi della tutela sempre più invasiva di sovrani e nobili. Il potere laico infatti nel tempo aveva strutturato quasi una “chiesa parallela” costruendo edifici di culto propri ma anche nominando vescovi e preti che dipendevano così direttamente da re e dall’alta aristocrazia piuttosto che da Roma. L’imperatore di Germania era il simbolo più eclatante di quella che la Chiesa considerava una vera e propria prevaricazione.

SI avvia così una mobilitazione contro questa ingerenza che si manifesta in molte occasioni come a Milano nel 1057, quando un chierico Arialdo, riscosse un notevole successo predicando contro il vescovo e il clero meneghino colpevoli di corruzione e di immoralità. Nasce un movimento, detto dei patarini, che, sebbene osteggiato dall’arcivescovo, ottenne l’appoggio del papato.

Una schiera di carismatici predicatori infiammano le piazze d’Italia, di Francia e di Germania, uomini come Pietro l’Eremita o Robert d’Arbrissel, si faranno portatori di un nuovo modo di concepire la vita religiosa. Il clero deve sottomettersi ad una pratica di vita conforme al carattere sacro della sua funzione. Lo stesso papato che ha conosciuto una lunga fase di declino, con il pontificato di Leone IX (1049-1054) inizia una lunga fase di riscossa. Pur essendo stato innalzato al soglio pontificio dall’imperatore Enrico III, iniziò a circondarsi di collaboratori favorevoli ad un radicale rinnovamento della Chiesa come Umberto di Silvacandida.

Stretto collaboratore di Leone IX e Niccolò II, fu, con Pier Damiani e Ildebrando di Soana (poi eletto al soglio pontificio col nome di Gregorio VII), uno dei massimi fautori della riforma della Chiesa dell’XI secolo. Nel frattempo, come frutto non secondario dello scisma del 1054 con la Chiesa ortodossa bizantina, si fa affermando la teoria del “Primato di Pietro”, sull’intera Cristianità.

Con lo Scisma matura nella Chiesa latina la convinzione che il Papa non debba essere soltanto la guida spirituale dei fedeli ma anche colui che dirige e governa le società cristiane. In altri termini il Papato aveva il diritto e il dovere di esercitare fino in fondo il potere temporale.

Duello tra poteri

Ed è proprio in virtù dall’azione riformatrice di Gregorio VII che si apre un aperto conflitto con il principale potere temporale dell’epoca, l’impero di Germania. L’anno chiave è il 1075 quando il Papa condanna pubblicamente l’investitura laica, ovvero la consuetudine che dava diritto all’imperatore e ai nobili di nominare vescovi e abati.

Lo scontro ebbe risvolti gravi e inediti, con l’imperatore che arrivò ad ordinare al pontefice di dimettersi dal proprio ruolo e questi, per tutta risposta, giunse a scomunicare e deporre il primo. Celebre il viaggio che Enrico intraprese nel 1077 per chiedere perdono al Papa e ottenere la revoca della scomunica. Gregorio VII era ospite in quel tempo della contessa Matilde di Canossa, e sfruttò abilmente la debolezza dell’imperatore Enrico IV che doveva fronteggiare la sollevazione di alcuni feudatari in seguito alla scomunica papale.

Si trattò però di un vittoria di Pirro, nel 1080 l’imperatore nominò un antipapa Clemente III, mentre Gregorio VII  morì in esilio a Salerno sotto la protezione del normanno Roberto il Guiscardo. Nonostante questa apparente battuta d’arresto il pontificato di Gregorio VII apriva la strada ad una visione millenaristica, un futuro Regno di Dio sulla Terra. In poco più di un secolo la Chiesa usciva dal “fortilizio” della dimensione monastica, per entrare a gamba tesa nell’agone del potere temporale della società.

Il concordato di Worms

D’altra parte Enrico IV erede della tradizione carolingia non poteva accettare un ridimensionamento dell’istituzione imperiale a favore del Vescovo di Roma. Si aprirà così un conflitto durissimo che trovò una parziale composizione nel concordato di Worms, noto anche come Pactum Calixtinum, siglato il 23 settembre 1122 fra  il sovrano del Sacro Romano Impero Enrico V di Franconia e il papa Callisto II. L’accordo sancì la fine della lotta per le investiture.

L’imperatore rinunciava al diritto di investire i vescovi dell’anello e del bastone pastorale, simboli del loro potere spirituale, riconoscendo solo al Pontefice tale funzione, e concedeva che in tutto l’impero l’elezione dei vescovi fosse celebrata secondo i canoni e che la loro consacrazione fosse libera. Da parte sua il Papa concedeva, limitatamente alla sola Germania, il diritto dell’Imperatore di essere presente alle elezioni episcopali e di investire i prescelti dei loro diritti laici (cioè i diritti feudali). Inoltre, sempre e soltanto in Germania, l’investitura feudale precedeva quella episcopale. In Italia e in Borgogna, invece, avveniva il contrario: era la consacrazione episcopale a precedere quella feudale, con un intervallo massimo di sei mesi.

Il concordato di Worms rappresentò una vittoria parziale per la Chiesa cattolica, mentre emergeva per la prima volta nella storia il principio della separazione tra potere temporale e quello spirituale. Lo scontro tra Impero e Chiesa era però tutt’altro che concluso come vedremo in un prossimo articolo.

Per saperne di più:

Lotta per le investiture

La nascita del Papato

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Mascilli Migliorini, Luigi; Feniello, Amedeo; Francesca Canale Cama. Storia del mondo

2 Comments

  • Una grossa lacuna del testo è aver trascurato il pontificato di Urbano II. Non è solo il papa della Crociata”, ma colui che porta al culmine il processo di riforma.
    È in primo luogo il momento di massima influenza di Cluny, un’enorme teocrazia che riuniva quasi 1200 monasteri sotto la guida di un unico abate, Ugo di Semour, di cui Ottone di Lagery stato il priore “de claustro” prima di diventare papa. Su tutti i libri di storia c’è l’immagine in cui il numero uno di Cluny, in abito vescovile, insieme con numero due di Cluny che è diventato il numero uno di Roma, consacrano l’altar maggiore quell’immensa chiesa che gli archeologi chiamano “Cluny III”: allora la più grande chiesa dell’Occidente cristiano, più grande della Basilica di San Pietro in Vaticano.
    Il programma di Urbano II era articolato in più punti:
    1. riprendere il programma di riforma morale del clero;
    2. riaffermare l’autorità e la libertas della Chiesa contro l’Impero;
    3. contrastare il clero “scismatico” ed “eretico”, cioè filoimperiale;
    4. riaffermare l’autorità di Roma anche sui patriarcati orientali;
    5. recuperare le terre occupate dai “pagani”, tanto all’ovest (in Spagna era in corso la Reconquista, e nel 1085 Alfonso VI di León aveva occupato Toledo), quanto all’est, dove i turchi selgiuchidi minacciavano da vicino Contantinopoli.
    Tutto questo in attuazione del Constitutum Constantini, la famosa “Donazione”, documento all’epoca ritenuto autentico.
    La mobilitazione, al di fuori dei poteri politici costituiti, di un esercito che va in Oriente per combattere i Turchi, e, incredibilmente, vince (tutte le crociate successive saranno un disastro), avviene in concomitanza con il fermento che, nelle città come nelle campagne, sta portando alla formazione di una nuova società.
    Subito dopo c’è il crollo. Il successore di Ugo, l’abate Ponzio, tenta la scalata al trono di Pietro – questa volta è il numero Uno di Cluny che vuol diventare il numero Uno a Roma – ma fallisce miseramente. Il nuovo abate, Pietro il Venerabile, governa un monastero azzoppato dai debiti e dalla secessione cistercense – i monaci “bianchi” che anche nell’abito vogliono distinguersi dai monaci “neri” di Cluny, e che presto diventeranno il nuovo paradigma della Chiesa riformata.

    • Hai ragione, non abbiamo sottovalutato l’importanza di Papa Urbano II è solo che un articolo divulgativo, secondo noi, non può essere troppo lungo. Purtroppo la maggioranza dei lettori ha una soglia di attenzione non elevatissima e articoli eccessivamente lunghi rischiano di non essere letti. Comunque grazie per le opportune precisazioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Verified by MonsterInsights