lunedì, Settembre 16

La Scienza? Niente altro che contare e misurare…..

Non vorremmo essere riduttivi e blasfemi ma in fondo la scienza si riduce a contare e misurare una grandezza, magari confrontandola con un’altra. Una velocità, una frequenza, un’energia, una temperatura, un’intensità di campo, ecc confrontata con un’altra grandezza dello stesso tipo, scelta come unità di misura, determinando il loro rapporto, che generalmente non è un numero intero.

Ancora una volta quindi i numeri, la matematica è lo strumento più potente e preciso per descrivere i fenomeni naturali e dell’universo che ci circonda. Quando effettuiamo una misurazione maggiore è il numero di cifre decimali e più altro è il grado di accuratezza della misura. Avendo sempre un numero limitato di cifre decimali, il risultato di una misura è quello che i matematici chiamano un numero razionale, cioè un numero espresso da una frazione.

Si tratta di un’approssimazione rispetto al valore esatto, irraggiungibile, che prende il nome di numero reale. Per molto tempo gli scienziati sono rimasti convinti che che tutte le grandezze della natura fossero continue, quindi esprimibili con numeri reali.

La prima crepa in questa visione si manifesta all’inizio dello scorso secolo quando si scoprì la struttura granulare della materia. In particolare con la meccanica quantistica si introdussero in maniera stabile e definitiva gli interi e la discontinuità nella rappresentazione quantitativa della natura – paradossalmente, appena qualche decennio dopo la concettualizzazione rigorosa dei numeri reali e della continuità da parte dei matematici.

Il grande fisico tedesco Max Planck nei primi anni del Novecento era alle prese con uno spinoso problema: la distribuzione della radiazione all’interno di una cavità il cui involucro sia mantenuto a temperatura costante (sistema noto come «corpo nero»). Per risolvere questo problema Planck immaginò che lo scambio di energia tra la radiazione e gli atomi delle pareti fosse discontinua, ovvero che avvenisse per multipli interi di un quanto di energia hf, dato dal prodotto della frequenza f della radiazione per una costante universale h (quella che oggi chiamiamo costante di Planck).

Questa teoria guidò Einstein nel suo “anno mirabile”, il 1905, ha spiegare l’effetto fotoelettrico proponendo che la radiazione stessa, ovvero la luce, avesse natura discontinua, corpuscolare; che fosse cioè costituita da quanti di luce, di energia hf (in seguito chiamati fotoni). Successivamente il danese Bohr dimostrò che i quanti (e quindi i numeri interi) sono presenti non soltanto nella radiazione ma anche nella materia.

Già alla fine dell’Ottocento i fisici che studiavano gli spettri atomici avevano scoperto che la luce emessa ed assorbita dagli atomi consisteva in una serie di righe discontinue di diverso colore (corrispondenti a diverse frequenze), e che nel caso dell’atomo più semplice, l’idrogeno, le frequenze delle righe mostravano una sorprendente regolarità che potevano essere rappresentata con numeri interi. Il fisico svedese Johannes Rydberg estrapolò una formula f/f0 = 1/m2 – 1/n2, dove m e n sono interi.

Fu Bohr a prospettare che questi numeri fossero collegati alla struttura dell’atomo da lui proposta, quella che intorno al nucleo di un atomo di idrogeno prevede un elettrone che descrive attorno al nucleo delle orbite circolari quantizzate, cui è associata un’energia inversamente proporzionale al quadrato n2 di un numero intero. Quando l’elettrone passa da un’orbita con numero quantico n (ed energia proporzionale a 1/n2) a un’orbita inferiore, con numero quantico m (ed energia proporzionale a 1/m2), emette della radiazione luminosa la cui frequenza è proporzionale a 1/n2 – 1/m2.

Oggi sappiamo che gli elettroni non si muovono su orbite predefinite ma sono descritti da nuvole di probabilità. La loro energia viene però calcolata con la stessa modalità con la quale si operava nel modello atomico di Bohr. Sappiamo pure che lo stato dell’elettrone è caratterizzato da due altri numeri interi, legati a una grandezza tipica dei moti rotazionali, chiamata momento angolare, e da un numero semi-intero (1/2), che specifica un’ulteriore proprietà, lo spin, una sorta di rotazione dell’elettrone su se stesso.

Se la meccanica quantistica è descritta da una costellazione di numeri interi e semi interi, altre proprietà dell’universo non trovano corrispondenza con questi numeri. Per esempio, le masse delle particelle non sembrano essere quantizzate. Anche i parametri che misurano l’intensità delle forze della natura non sono “descritte” da numeri interi. E’ la cosa ancora misteriosa e che i valori numerici presenti nel Modello Standard che non possono essere calcolati, ma vanno inseriti «a mano» nella teoria, sono più di venti.

E questo fa dubitare molti fisici e matematici che vi sia ben altro oltre il Modello Standard, ovvero  la teoria fisica che descrive tre delle quattro interazioni fondamentali note: le interazioni forte, elettromagnetica e debole (le ultime due unificate nell’interazione elettrodebole) e tutte le particelle elementari ad esse collegate.

Una teoria che ci permetta di capire quello che ad oggi sembrano “numeri arbitrari” incollati ad hoc per far quadrare il cerchio delle conoscenze acquisite.

e.

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