giovedì, Settembre 19

La situazione sanitaria nel Medioevo

Non ci stancheremo mai di ribadire che quando parliamo di un periodo che convenzionalmente comprende quasi mille anni ogni generalizzazione va sempre interpretata come necessità di sintesi ma, allo stesso tempo, può contenere forzature e incompletezze di cui anticipatamente ci scusiamo. La situazione sanitaria nell’Età di Mezzo è complessivamente disastrosa e soprattutto nei primi secoli costituisce un netto arretramento rispetto a quella greca e romana.

Malattie ed epidemie imperversano a causa di una molteplicità di fattori concomitanti: assenza di igiene e prevenzione, guerre, alimentazione scarsa e inadeguata, conoscenze mediche del tutto insufficienti e strutture di cura rare e gestite in spregio ai più elementari criteri di sicurezza sanitaria.

Fra le cause delle malattie si annoverano l’ingestione di cibo avariato o contaminato dalla presenza pervasiva di insetti e topi, una vera piaga nel Medioevo, questi ultimi responsabili di epidemie devastanti. Sempre per quanto riguarda l’alimentazione, la sua insufficienza, costituirà soprattutto nelle fasce basse della popolazione un altro veicolo di malattie e come conseguenza un ulteriore fattore dell’abbassamento dell’aspettativa di vita.

Le carenze alimentari di frequente procurano avitaminosi che provocano polinevriti, tracomi, glaucomi e di sovente il rachitismo infantile diffuso, ad esempio, fra gli storpi che chiedono l’elemosina lungo le strade o sui gradini e perfino all’interno delle chiese. La mortalità infantile è altissima, gli aborti di donne malnutrite e sfiancate dal lavoro frequentissimi tanto che nonostante l’alto tasso di natalità la crescita demografica è ridotta e durante le più violente epidemie si registra una sensibile riduzione della popolazione.

Il parto è uno dei momenti a maggior rischio per la vita del nascituro ma anche della madre. I bambini che riescono a sopravvivere al parto e ai primi anni di vita spesso soffrono di rachitismo per effetto di un’alimentazione inadeguata e insufficiente. Una delle conseguenze di questo stato di cose è la bassa altezza della popolazione medievale.

La media della statura raggiunge circa un metro e sessanta per gli uomini delle regioni del Nord e un metro e cinquanta per quelli delle regioni mediterranee, le donne raggiungono al massimo un metro e mezzo al Nord e anche meno al Sud. La durata della vita è bassa e di rado supera i 30 anni per le donne, mentre a malapena tocca i 45 per gli uomini. Un uomo a cinquanta anni è un vecchio e una donna già tra i 25 e i 30 anni è sfiorita a causa dell’elevato numero dei parti e delle dure condizioni lavorative domestiche e dei campi. Coloro che superano questa soglia media di aspettativa di vita, soprattutto maschi, risultato di una durissima selezione naturale, riescono a raggiungere anche i settanta, settantacinque anni di vita.

La mancanza di igiene è tra le principali cause di morte e malattia, colpisce molte parti dell’organismo umano tra cui il cavo orale, è frequente vedere dentature annerite e con molti denti cariati che vengono estratti dolorosamente, senza alcuna anestesia. Il risultato sono bocche sdentate, con pochi denti anneriti e giallastri anche in età giovane. La cecità è un male endemico ed incurabile dell’età medievale. Tra le malattie della pelle la più diffusa, temuta è soggetta ad una vasta riprovazione sociale è certamente la lebbra, seguita da scabbia, ulcerazioni, tumori.

Le malattie neurologiche e mentali sono curate con esorcismi, bagni freddi e caldi, percosse e digiuni tutte pratiche inutili, dannose e destinate al completo fallimento. Per le numerose malattie infantili, spesso in assenza di un medico, ci si affida a Santi per così dire “specializzati”, come sant’Agapito che fa passare il mal di denti e le coliche, san Cornelio le convulsioni, santa Lucia che guarisce i ciechi, sant’Anna che aiuta a superare il travaglio del parto, san Biagio di Cesarea in Cappadocia protegge poi dal mal di gola. Fede e superstizione fortemente intrecciate in un unico groviglio di credenze.

La chirurgia è quasi del tutto scomparsa regredendo nettamente rispetto alle tecniche perfezionate nell’antichità. Persino il parto cesareo è eseguito con grossolanità e contribuisce alla tragica statistica che vede fra i 18 e i 30 anni, circa la metà delle donne sposate morire di parto o di febbre puerperale. Se la chirurgia è quasi del tutto scomparsa dalla pratica medica, di miglior salute gode la farmacopea grazie anche al contributo della medicina araba e di scuole mediche famose, come quella salernitana, la più antica d’Europa e quella bolognese.

I medici non hanno alcun strumento di analisi se non l’esame ad occhio dei liquidi organici del paziente che sono odorati e talvolta persino assaggiati. In compenso la medicina galenica si avvale largamente di piante officinali e di spezie, sciroppi, polveri, pastiglie, talvolta pure efficaci e risolutive, come il trocisco, una pastiglia rotondeggiante formata da varie sostanze. Si impiegano spezie come ribes, mirra, cassia, , cinnamomo, cardamomo, panacea, liquirizia, giglio, erba dragontea, ancusa tintoria, e ancora rabarbaro, cascara, genziana, alloro, aloe, manna, senna, malva, papavero, camomilla; inoltre si fa largo uso di orzo, avena, miele, gelso, aglio, sale, aceto, latte di mandorle, spesso base per sciroppi, emulsioni, pozioni, infusi, cataplasmi e impiastri.

Persino i veleni a piccole dosi entrano nella farmacopea con insperati risultati come ad esempio l’elleboro e il giuisquiamo. Per disinfettare si utilizza l’aceto e alcune muffe, mentre nel Basso Medioevo viene introdotto dagli Arabi anche l’uso del limone, per arrestare le emorragie si ricorre all’allume. Nelle città di una certa importanza sono presenti gli ospedali, quelli laici peggio organizzati di quelli gestiti dai religiosi. Nei primi i pazienti vengono ammassati in quasi completa promiscuità. In quasi tutti gli ospedali sono per altro assenti sale operatorie o di medicazione dove effettuare interventi chirurgici di base o salassi, enteroclismi ed altre terapie in condizioni di igiene e pulizia adeguate.

Quanto insorgono epidemie di peste, colera, dissenteria e febbri tifoidee i malati sono stipati senza alcuna distinzione di sesso o di eziologia in comuni corsie. Dopo il1348 aumentano considerevolmente il numero di ospedali, lazzaretti e lebbrosari costruiti adesso fuori dalle mura cittadine nel tentativo di mitigare il rischio del contagio. Non possiamo concludere questo paragrafo sul “sistema ospedaliero” medievale senza fare un breve accenno alle “infermerie monastiche”. Generalmente sono meglio organizzate degli ospedali cittadini e molto più attente alla prevenzione e all’igiene nella cura dei malati. Agli infermi viene garantita la preparazione di cibi particolari che non prevedano digiuni né astinenze, mentre la carne può essere prescritta ai confratelli ammalati ogni giorno della settimana, tranne il venerdì.

Fonti:

Enciclopedia Treccani

Il Medioevo giorno per giorno di L. Gatto

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