lunedì, Settembre 16

La tragedia greca

Mussolini non aveva imparato niente fin dai primi giorni dell’entrata in guerra dell’Italia, prima con il grottesco tentativo di attaccare una Francia ormai sconfitta per mettere sulla bilancia dei futuri equilibri un “pugno di morti”, sia successivamente con la disastrosa campagna d’Africa. Il desiderio di ritagliarsi di fronte all’ingombrante alleato nazista un ruolo autonomo nella conduzioni delle operazioni belliche indusse il Duce, nonostante le evidenze sull’impreparazione del Regio Esercito e sulla dubbia capacità degli Alti Comandi militari, ad attaccare la Grecia, convinto di farne un sol boccone in poche settimane.

Il 28 ottobre 1940, partendo dalle sue basi in Albania (controllata fin dall’aprile del 1939) in tutta segretezza, l’Italia lanciò all’attacco 162.000 soldati varcando le frontiere con la Grecia. Lo stesso generale Graziani, dall’Africa, apprese la notizia dal resoconto del giornale radio. Il Duce era convinto che un piccolo paese di 7.000.000 di abitanti, le cui già scarse forze militari erano in maggioranza dispiegate sul confine bulgaro non avesse alcuna chance di opporsi all’invasione. Tanta era la sicumera che Mussolini disse ai suoi generali: “Do le dimissioni da italiano se qualcuno trova delle difficoltà a battersi con i greci”.

Il dittatore fascista aveva sottovalutato la reazione del popolo greco già infuriato contro l’Italia che poche settimane prima della dichiarazione di guerra con un sottomarino aveva affondato l’incrociatore Helli. Nonostante un paese impoverito e privo di risorse il governo greco riuscì a mobilitare 209.000 soldati e circa 125.000 tra cavalli e muli. Il dittatore Ioannis Metaxas, di simpatie fasciste, che era oggetto di violenti contrasti politici fino a quel momento, si ritrovò dall’oggi al domani con un paese unito nello sforzo contro l’invasore, tanto che scrisse nel suo diario: “Ora sono tutti con me.”

Nello stupore generale l’esercito greco a novembre non solo aveva respinto l’invasione italiana ma si era inoltrato in profondità in Albania. Il generale Ubaldo Soddu che aveva sostituito il generale Sebastiano Visconti Prasca responsabile di una disastrosa pianificazione delle operazioni militari, suggerì a Mussolini di chiedere un armistizio alla Grecia, questa mossa gli costerà il posto e anche lui sarà destituito a favore dal generale Ugo Cavallero.

I greci avevano fatto quasi tutto da soli perché la Gran Bretagna che in teoria avrebbe dovuto sostenere attivamente il conflitto si era limitata a fornire un po’ di armi e il supporto di qualche squadriglia aerea. Hitler che era stato tenuto all’oscuro fino all’ultimo dell’iniziativa italiana era furibondo per il fallimento di un attacco che aveva sempre sconsigliato al suo alleato fascista. Mussolini per cercare di tranquillizzare il Furher promise che avrebbe inviato altre 30 divisioni per ribaltare la situazione sul campo, adducendo le sconfitte agli effetti del maltempo ed alla riottosità della Bulgaria di entrare in guerra aprendo un secondo fronte. Disperato Mussolini ordinò al suo capo di Stato Maggiore Badoglio che “Tutti i centri urbani (greci) superiori ai 10.000 abitanti devono essere rasi al suolo. Questo è un ordine diretto.”

Naturalmente non successe niente del genere. Gli eserciti italiani e greci rimasero bloccati sulle montagne albanesi per tutta la durata dell’inverno che si caratterizzò come uno dei più inclementi degli ultimi 50 anni. Alla fine Hitler perse la pazienza e nonostante le rimostranze di Mussolini, per evitare che un corpo di spedizione inglese potesse dare la spallata finale alle malconce difese italiane e costituire delle pericolose basi aeree avanzate in grado di colpire non soltanto l’Italia ma anche i preziosi campi petroliferi rumeni diede il nulla osta all’operazione Marita che prevedeva l’invasione della Grecia da est. Intanto, da tempo malato, il dittatore Metaxas morì il 29 gennaio 1941 per le complicazioni seguite a un intervento chirurgico ; nuovo primo ministro divenne quindi Alexandros Korizis, anche se il governo risultò strettamente controllato dal re Giorgio II.

A marzo le pressioni diplomatiche convinsero la Bulgaria ad unirsi all’Asse e lo stesso accadde in Yugoslavia, soltanto che qui un colpo di stato ad opera di ufficiali filo-britannici portò alla deposizione del reggente e alla nomina di un nuovo governo sotto il generale Dušan Simović . Il nuovo governo cercò di mantenere la neutralità del paese, rifiutandosi di ratificare l’adesione al patto tripartito senza per questo troncare i rapporti con la Germania, ma Hitler ordinò immediatamente di preparare l’invasione della Jugoslavia, da svolgersi in concomitanza con l’attacco alla Grecia

Il 13 aprile 33 divisioni tedesche, sei delle quali corazzate invasero la Yugoslavia travolgendo con estrema facilità l’esercito iugoslavo dopo un feroce bombardamento di Belgrado che costo ben 17.000 vittime tra i civili. Nel frattempo la Grecia aveva richiesto pressantemente un consistente aiuto militare all’Inghilterra, dopo alcune tergiversazioni, Churchill impose agli alti comandi di inviare un corpo di spedizione al comando del generale Henry Maitland Wilson, il contingente comprendeva due divisioni di fanteria, una brigata corazzata e reparti di supporto per un totale di 53 000 uomini .

Il 6 aprile 1941 i tedeschi invasero la Grecia con il pretesto di contrastare l’arrivo del corpo di spedizione britannico. Le truppe tedesche dilagarono attraverso il passo di Monastir minacciando le retrovie greche in Albania. Le forze alleate iniziarono a ripiegare verso sud, schiacciate dalla superiore abilità dei reparti tedeschi e dai continui, feroci attacchi aerei. L’esercito greco ormai esausto dopo le campagne condotte contro gli italiani, privo di mezzi di trasporto, iniziò a collassare. La ritirata delle forze britanniche costituite in gran parte da australiani e neozelandesi si trasformò ben presto in una vera e propria rotta, abbandonando materiale, armi e munizioni e mezzi di trasporto lungo le strette e tortuose strade greche. Già dal 28 aprile le prime unità britanniche furono evacuate via mare e nei giorni seguenti la Royal Navy completò l’evacuazione delle truppe da Nauplia e Kalamata.

A questo punto la situazione di quello che rimaneva dell’esercito greco si fece drammatica e il generale Tsolakoglu, comandante dell’Armata della Macedonia occidentale e due comandanti di corpo d’armata dell’Armata dell’Epiro, i generali Georgios Bakos e Panagiotis Demestichas, il 20 aprile offrirono la resa ai tedeschi in un incontro con il comandante del “Leibstandarte” Josef Dietrich a Giannina. L’armistizio era tutto in chiave anti-italiana: non ci sarebbe stata resa dei reparti greci all’Italia, le unità tedesche si sarebbero interposte tra le truppe italiane e quelle greche una volta che queste avessero evacuato il territorio albanese fermandosi alla frontiera, i soldati ellenici sarebbero stati smobilitati senza essere presi prigionieri e gli ufficiali avrebbero conservato il loro armamento personale

Mussolini andò su tutte le furie tanto che il feldmaresciallo List non convalidò il testo e obbligò Tsolakoglu a firmarne un altro il 21 aprile che imponeva sostanzialmente una resa incondizionata delle forze greche, ma Cavallero ordinò di proseguire le operazioni in modo da penetrare il più possibile in territorio nemico. La confusa situazione venutasi a creare tra greci in ritirata e le truppe italiane che via via si imbattevano nei tedeschi avanzanti fu infine risolta nel pomeriggio del 22 aprile, quando il generale Tsolakoglu si convinse a inviare dei suoi plenipotenziari a chiedere la resa anche agli italiani; alle 14:45 del 23 aprile a Giannina fu infine siglato l’armistizio conclusivo delle ostilità sul fronte greco-albanese: firmarono Tsloakoglu per la Grecia, il generale Alfred Jodl per la Germania e il generale Alberto Ferrero per l’Italia.

L’Italia salvò la faccia ma da quel momento le velleità di Mussolini di giocare un ruolo autonomo nel contesto bellico tramontarono definitivamente.

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