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L’affondamento della corazzata Roma

L’8 settembre del 1943 il grosso della squadra navale italiana si trovava alla fonda nel porto di La Spezia. Da oltre un anno, dalla battaglia navale di agosto del 1942, le navi italiane per assoluta mancanza di nafta non erano più uscite dal porto.

Quel giorno però avevano dato fondo alle ultime riserve di carburante e si trovavano con i serbatoi pieni. A bordo delle navi aleggiava un grande nervosismo. Circolavano voci e notizie contrastanti ed infondate. Il dramma stava maturando anche se persino il Comandante della squadra navale, l’ammiraglio Bergamini, ignorava che cinque giorni prima, a Cassibile in Sicilia, il generale Castellano aveva firmato, per conto di Badoglio, la resa incondizionata dell’Italia.

Quella mattina, quando alle ore 10, era arrivato l’ordine da Supermarina, di accendere le macchine e tenersi pronti a muovere per le ore 14, tutti ritenevano che si preparasse l’ultimo drammatico e scontato scontro con il nemico. L’attesa a bordo si fece sempre più convulsa man mano che le ore passavano e l’ordine di partenza da Supermarina non arrivava.

Alle 19.45 quando per radio gli ufficiali ascoltarono l’annuncio di Badoglio sull’armistizio, lo sconcerto e la confusione divamparono come fuoco sulla paglia secca. Nonostante l’evidente shock causato da quella notizia e la convinzione che la guerra fosse terminata che piano piano si fece largo nella mente dei marinai, contrariamente a quanto avvenne per molte unità dell’esercito, non si registrò alcun sbandamento ed i marinai italiani rimasero saldamente uniti intorno ai loro comandanti.

La prima decisione che si realizzò tra lo Stato Maggiore della squadra navale e gli altri ufficiali fu quella di auto affondare le navi piuttosto che consegnarle al nemico. Il comandante della squadra, ammiraglio Bergamini, che aveva le insegne sulla Roma, la più giovane e la più bella delle corazzate italiane, si fece latore di questa decisione con il Capo di Stato Maggiore e Ministro della Marina ammiraglio De Courten.

Questi però lo convinse della necessità per il bene della Patria di obbedire agli ordini che in base a quanto stipulato nell’armistizio prevedevano che la flotta italiana si consegnasse alla base inglese di Malta. Dopo una breve trattativa tra Bergamini e De Courten si arrivò ad una soluzione transitoria che prevedeva che la squadra salpasse in direzione del porto italiano della Maddalena, ritenuto in quel momento sicuro da un probabile attacco tedesco. Si sperava con questa soluzione di compromesso di convincere gli Alleati a modificare la specifica clausola del documento di resa.

Le navi italiane erano totalmente prive di qualunque copertura aerea e secondo le disposizioni della Mediterranean Fleet sarebbero dovute partire al tramonto del giorno 8 settembre navigando alla massima velocità durante la notte in direzione di Malta. Invece la squadra navale italiana lasciò il porto di La Spezia alle tre del mattino del 9 settembre.

Essa era composta dalle corazzate Roma, Vittorio Veneto e Italia (ex Littorio), sei incrociatori e nove cacciatorpediniere. Le navi italiane giunsero verso le 13 in vista dell’Asinara e si diressero quindi verso l’entrata di ponente dell’estuario della Maddalena. Fu proprio in questo punto che un messaggio urgente di Supermarina avvisò la squadra navale italiana di cambiare urgentemente rotta direzione Bona. Poche ore prima infatti i tedeschi avevano occupato l’isola della Maddalena approntando una trappola per catturare la squadra italiana.

La pronta fuga delle navi italiane però non colse di sorpresa i tedeschi che avevano allestito un piano di riserva per impedire che le navi italiane potessero ricongiungersi con quelle alleate. Alle 15.10 una flotta di bombardieri Dornier apparve minacciosa sul cielo. Si trattava di ventotto bimotori Dornier Do 217K del Kampfgeschwader della Luftwaffe partiti dall’aeroporto di Istres, presso Marsiglia, in tre ondate successive, la prima delle quali si alzò in volo poco dopo le 14:00, con l’istruzione di mirare unicamente alle corazzate.

Bergamini per rispettare alla lettera le disposizioni impartite da Badoglio sull’armistizio che prevedevano che le forze italiane reagissero soltanto dopo essere stati attaccati aspettò la prima bomba sganciata dai Dornier contro l’Eugenio di Savoia (mancandolo per soli 50 metri) prima di ordinare il fuoco di contraerea. Le bombe che l’aviazione tedesca utilizzava per quell’attacco erano delle bombe teleguidate Ruhrstahl SD 1400, conosciute dagli Alleati con il nome di Fritz X, la cui forza di penetrazione era conferita dall’alta velocità acquistata in caduta, essendo prescritto il lancio da un’altezza non inferiore ai 5000 metri. La bomba era munita di un apparecchio ricevente ad onde ultracorte trasmesse dall’aereo, che permetteva di dirigerla verso il bersaglio e che sarebbe potuto essere contrastato solo con disturbi radio.

Alle 15:42, l’Oberleutnant Heinrich Schmetz centrò la corazzata Roma una prima volta tra le torri antiaeree da 90 mm; il colpo non produsse effetti devastanti ma attraversò lo scafo esplodendo sott’acqua e aprendo una falla.Il secondo colpo alle 15:50 centrò la nave verso prua, sul lato sinistro fra il torrione di comando e la torre sopraelevata armata con cannoni da 381 mm, con conseguenze ben diverse: a prua si allagarono le caldaie causando l’arresto nella nave e i depositi di munizioni deflagrarono,  cessò l’erogazione dell’energia elettrica e la torre numero 2 (quella coi cannoni da 381 mm) saltò in aria con tutta la sua massa di 1500 tonnellate, cadendo in mare; la torre corazzata di comando fu investita da una tale vampata che fu deformata e piegata dal calore, fatta a pezzi e proiettata in alto in mezzo a due enormi colonne di fumo; morirono l’ammiraglio Bergamini e il suo Stato Maggiore, il comandante della nave Adone Del Cima e buona parte dell’equipaggio, morti pressoché all’istante. La vampata salì per almeno 400 metri di quota, alcuni osservatori riferirono che il classico fungo da esplosione raggiunse i 1000 metri ed oltre.

Dei 1948 uomini dell’equipaggio ne perirono ben 1352. Il comando della squadra fu assunto dall’ufficiale anziano, l’ammiraglio Oliva a bordo dell’Eugenio di Savoia. In fuga nel Mediterraneo, alle ore 8.30 del 10 settembre la squadra navale italiana fu intercettata al largo di Malta da un gruppo di navi inglesi comprendenti le corazzate Valiant e Warspite. Poco più tardi, mestamente, le navi italiane entravano nel porto di La Valletta, in attesa delle altre squadre navali di ciò che rimaneva della Regia Marina.

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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